Dopo un intro conciso di circa venti secondi arriva il ''Playmaker''. Appendere le scarpe al chiodo è un'operazione più che complessa, soprattutto se subentrano ricordi come '' gli scherzi dei compagni,le sostituzioni, l'ansia di segnare prima del time-out, librarsi in aria e non cadere mai''. E allora risulta più semplice sfidare la forza di gravità piuttosto che smettere di farlo. La nostalgia di una partita si fa più così più aspra quando più impetuoso è il suo ricordo. Parole che si snodano in un sound trasognante abbellite da cori carichi e travolgenti.''Niente che non va'' è una dichiarazione d'intenti, un modo ironizzante di affrontare i problemi che la vita ti pone davanti attraverso il lasciar correre. Un modo beffardo di analizzare i ''tarli'' della società compatendoli come risultato di una ''sorte inevitabile'' ma comune. Una dialettica musicale che si sviluppa mediante l'incontro tra una serie di suoni elettronici marcati in cui puoi riconoscere facilmente l'impostazione classica della band romana. A seguire un'altra perla di poesia che si colloca ,nella scaletta, al posto assegnatole dallo stesso titolo; '' Canzone 4'' è un pot-pourri di ingredienti diversi, una ballad intimista che narra la storia di un amore finito strappando all'uomo medio le illusioni con cui vive; un percorso a ritroso in tutte le tappe che lo hanno caratterizzato; scene di vita, cuori infranti, lacrime che si susseguono così in un vortice di ricordi amari e fugaci. Battiti sonori che si uniscono nel suono di lenti accordi di chitarre sbocciando in un drum cadenzato e melodico. Trenta minuti di fluide armonie, in cui si snoda dolcemente la voce determinante di Marco Catani.
Un mood più triste prende vita nella seconda parte del disco. Gli accenti disillusi ritornano nel testo della poesia ''Tutto andrà a finire prima o poi'', che mette in luce una sacrosanta verità ribadendo più volte la veridicità della frase ''rilassati nel mantra più vibrante che tutti fanno male prima o poi''. La ritmica è la stessa delle precedenti canzoni e anche qui non passa sott'occhio la presenza di numerosi inserti elettronici. Ottima la seguente '' Assassino seriale sensibile'' costellata dal portamento elegante del pianoforte in apertura. A questo punto della ''Futura classe dirigente'' sembra proprio che i Carpacho e il Ministero della Salute abbiano stretto amicizia; reni, milze, infarti, medici ed ospedali diventano il presupposto per parlare di un male non fisico ma interiore. E se è ben noto che un assassino per natura non possa essere sensibile, qui bisogna ricredersi e affermare il contrario. Una canzone paurosamente orecchiabile che difficilmente riesci a smettere di canticchiare. ''Canzone 7-Winter'' prende il via e con essa anche la poesia che la fa sopraelevare un gradino più in su rispetto alle canzoni precedenti. Un demo della canzone con solo pianoforte e chitarra circolava già prima dell'uscita dell'album; qui invece viene riproposta arricchita da sfumature elettroniche e colpi di batteria trasportanti. Maggiore estro al brano è conferito inoltre dall'ipoteticità del se che ritorna di continuo proposizione dopo proposizione. Di falsi eroi che portano questa generazione persa a credere a tutto fuorché alla realtà si parla nella ''Classe diligente''. Anche qui ritroviamo l'essenza pop melodica permeata da cori e controcanti che si estende in tutto l'album. Si incontrano due mondi: nasce la sinergia tra il cantautorato italiano e il britpop inglese. Accento elettronico decisamente più marcato si concretizza nella final track '' Oh oh pasticho'', canzone che mette la parola fine ad un tour di dieci pezzi che affondano in tematiche quali esistenzialismo, romanticismo e ironia. ''La futura classe dirigente'' è pop nella giusta misura. Un album che artisticamente non fa una piega, ben curato e mai banale. Consigliato a tutti i fruitori della buona musica italiana che nei testi amano riconoscersi anche un po'. Ordiniamo il bis?
Label: Pippola Music
Voto: ◆◆◆◆◇
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