Quando ti approcci ad un gruppo mai sentito prima con lo stile che gli è stato attribuito, spesso può essere deviante. È questo ciò che è successo con gli High Places quando, leggendo “experimental rock” mi aspettavo decisamente un altro genere di disco, anche a causa dei miei schemi mentali che attribuiscono automaticamente al rock una padronanza nel sapere suonare degli strumenti “tradizionali” come chitarra, basso, batteria. Ciò che mi si è presentato alle orecchie è stato invece un susseguirsi di suoni sincopati, dove le chitarre sono smembrate e sintetizzate, le percussioni ricreate da qualunque tipo di oggetto solido ed una calda voce nella maggior parte delle tracce che sussurra dei testi semplici ed in perfetta armonia con il suono. Rob Barber e Mary Pearson sono i creatori di tutto questo e forse rappresentano quello che, oggi, si intende con musicista: registrano dei suoni, li sintetizzano li campionano poi, figli delle scuole di visual design, realizzano gli artworks dei cd, creano video da proiettare durante le esibizioni live e postano foto dei loro spostamenti in tour sul loro blog. Un protagonismo che si basa sull'estetica e che, in realtà, rimanda a quegli anni dove il lighting per gli stage diventava prerogativa per la psichedelia rock. E' quindi davvero possibile classificarli non solo come musicisti in pieno regime elettronico, ma lontani parenti, magari, di quelli che sono i lavori di artisti come Trent Reznor. Ciò che importa sono gli “high places” in cui questi due ragazzi riescono a portare con i loro dieci brani, molto diversi tra loro nonostante la campionatura paradossalmente: si riesce ad immaginare ampi spazi, oceani, il deserto, altri continenti. A questo punto non è fondamentale lo stile, ma ciò che gli High Places vogliono trasmettere, riuscendoci.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Thrill Jokey Records
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