"Tela", disco d’esordio dei Tetuan, power trio maceratese, si presenta concettualmente come una via di mezzo tra un Ep e un long play. I Tetuan suonano un post-math-rock, nevrotico a tratti teso e muscolare. Deliri noise a occhi aperti. Atmosfere ben inserite in contesti onirici ed alienanti. Sonorità adatte a fare da sfondo ad un sogno angoscioso del quale la mattina, svegli, non si ha più memoria. Chitarre abrasive, bassi distorti e suadenti, percussioni nervose, sempre incalzanti, questi i punti di forza dei Tetuan, che ammiccano ad orizzonti passati di altissima qualità e importanza musicale. Un cantato poco presente, volutamente non valorizzato, a malapena decifrabile che si affaccia in pochissimi momenti. Possiamo udire la voce in apertura ne "La Chambre", tra continue variazioni e incubi teatralmente oscuri. A proposito di incubi, la traccia seguente rende omaggio a un noto indagatore dell'incubo. "Dylan Dog", della quale è disponibile un video realizzato dal bassista Cristiano. E' una notte insonne sullo sfondo di un drumming alla Shellac e vortici sonici destrutturanti alla Ranaldo. "Omega", in poco meno di due minuti, ci regala un intermezzo nel quale si avverte una forte agitazione, una sorta di esplosione attutita, che ci sfiora soltanto, per poi scomparire in lontananza nell'introduzione di "Dio ? Solo un'Allucinazione Sonora". Con un titolo così esplicativo ci sarebbe poco da aggiungere. A discapito del suo inizio slow, questa quarta traccia crea una grande tensione nel continuo e ripetitivo arpeggio incastonato nel basso possente e tirato. "La Tregua" è sicuramente la traccia con più pathos. Figlia della maestria della prima scuola post rock di Louisville (Slint) e temprata dalla durezza noise più lisergica e martellante. "Sono un Apolide" appare come la più accademica in termini post: greve, monotona, fantasmagorica fino all'esplosione trascinante magnetica e ipnotica quanto una seduta mesmerica. Con molta probabilità, il brano strutturalmente più ordinato e classico. A lasciarci al risveglio, quando i primi raggi del sole penetrano attraverso la finestra, "Mambo Jumbo". Un finale avanguardistico che unisce ritmi tribali, chitarre penombrose e canti atavici, in un cammino ansiogeno che si è più che felici di aprire gli occhi e cominciare una nuova giornata. Un ascolto decisamente non per tutti, consigliabile e più facilmente fruibile per i veri ascoltatori del genere.
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