La prima parola che mi è venuta
in mente ascoltando May è stata ‘internazionale’.
Come suoni, come arrangiamenti, come gusto e, soprattutto, come produzione,
perché l’album d’esordio del piacentino Federico Pagani, nome di battaglia An
Harbor, è probabilmente il disco italiano meglio confezionato che abbia mai
ascoltato così a memoria. Sarà complice una voce che mi fa venire in mente i Maroon 5, ma uno qualsiasi dei pezzi di
May non sfigurerebbe nell’airplay radiofonico di qualsiasi grande emittente,
senza che nessun elemento faccia pensare ad una provenienza italiana.
Prendete ad esempio Like A Demon: piano sornione a menare le
danze, batteria triggerata in sottofondo, synth che escono alla bisogna nei
potenti ritornelli e voce femminile (splendida, di Giulia Bonomelli aka Tight Eye) a duettare con Federico a
due terzi del brano, giusto per dargli quella spinta in più. In otto pezzi An
Harbor mette tanta di quella capacità di azzeccare il motivetto orecchiabile
che ti vien da immaginarlo chino sulla scrivania, chitarra sulle gambe, intento
a scandagliare il modo di arrivare a più orecchie possibili, e devo dire che
questa visione mi ha perseguitato per un po’ nell’ascolto dell’album: tutto è
talmente rifinito infatti che a tratti dubitavo della spontaneità del lavoro,
avviluppato in una rete di suoni che saccheggiano a piene mani da quanto va per
la maggiore al momento (un esempio su tutti: il vocoder utilizzato in certe
parti di Shine Without A Light che,
per compensazione, coi suoi sette minuti di durata e la metamorfosi ritmata
alla Empire Of The Sun del finale
rappresenta l’episodio meno proponibile radiofonicamente), ma resta il punto
che è fatto talmente bene che non si può evitare di applaudire. L’anima
dell’artista emerge comunque a tratti in un brano come Not Made Of Gold, voce e chitarra acustica per un intimismo
musicale che si rinforza d’emozione quando la chitarra elettrica si unisce in
un fraseggio, semplice ma d’impatto, per un breve momento, o nell’altrettanto
scarna Come Armed Or Come Not At All,
dai ritornelli più sbarazzini. Federico cavalca e mischia i generi sapientemente,
unendo nell’iniziale Minevra Youth Party
il rock d’impatto dell’apertura col pop dal marcato sapore anni 80 evocato dal
piano e soprattutto dal synth, passando dall’intimismo piano-voce al
sovraccarico di basse in The Highest
Climb. By The Smokestack, canzone
con la quale si è fatto conoscere ad X Factor, è poi il perfetto brano da
classifica, mutando anima e suoni in continuazione e con efficacia assoluta
(basti pensare al cambio di suoni della batteria nei diversi ritornelli):
impossibile da non cantare.
Dopo aver elogiato il disco in
lungo ed in largo mi sento un po’ ipocrita a non dare il massimo dei voti, ma
per una volta il voto che metto in calce è quello personale e non il giudizio
critico: nel suo essere un perfetto congegno ad orologeria pronto ad esplodere
nelle orecchie dell’ascoltatore, per poi rimanervi a lungo, May a parer mio
lascia per strada un po’ di quell’immediatezza ruspante di cui io sono drogato,
e quel punto in meno è dovuto solamente a questo. Tutto ciò non toglie che un
album del genere fa ricredere chiunque pensi che in Italia non si possano fare
le cose fatte bene come all’estero, e non stiamo neanche parlando di produzioni
milionarie ma di uno che si è rotto il culo da sé e si è guardato bene in giro
per capire come, quando e dove fare le cose. Sicuramente un album da ascoltare,
anche solo per questo.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: This Is Core Records/ Believe
Label: This Is Core Records/ Believe
0 comments:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.