giovedì 12 maggio 2011

16 volt - Beating dead horses (Recensione)

Alle volte scopriamo per caso dei gruppi molto talentuosi, scarsamente se non totalmente ignorati dalla critica musicale, ed è il caso della maggior parte dei gruppi che suonano bene o male come i 16 volt ma non solo. Stavo aspettando questo settimo lavoro ormai da qualche mese, come era stato segnalato sul sito della innovativa Metropolis Rec, che dovete visitare. Il genere è un rock industriale e catastrofico, con chiari rimandi ai NIN e band affini, ma non sono delle loro copie. I nostri, capitanati da Eric Powell seguono quel modello basato sulla fusione tra atmosfere industriali applicate al rock, con una forte componente metal, molto più rispetto a gruppi come i KMFDM. Sia la sezione ritmica che la voce di Powell sono da manuale di un certo rock, molto flessibili e aperte alla sperimentazione, seppure il lavoro risulti abbastanza omogeneo e monolitico. Inutile fare una analisi traccia per traccia, cosa migliore è invece citare alcune canzoni che emergono in particolar modo dal mucchio. Possiamo suddividere il lavoro in tre sezioni : la prima è la più dura e diretta : "Beating dead horses" maestosa e granitica nel suo incedere come una marcia - "The wasteland that is me" in bilico tra la durezza della sezione ritmica e un chorus molto atmosferico con Powell che cambia registro - "Fight or flight" caratterizzata da una forte attitudine punk che ricorda i NIN migliori. La seconda inizia con "Burn" passando per "You will all go down" e "Ghost", "We disintegrate" e "Dissembler", tutte tracce basate, quale più quale meno, sull'utilizzo di mid-tempos caratterizzati dalla sognante voce di Powell. Il picco più alto qui lo tocca "Ghost", di grande intensità. Il resto sono belle canzoni ma sicuramente non passeranno alla storia. La terza sezione è quella più sperimentale, inizia da "Sick sick sick" passando per "The carrion", "Veins" e "Somewhere new". Se la prima riprende in parte le atmosfere della prima sezione, insieme a "Veins" rielabora il crossover alla maniera dell'industrial. "The carrion" riprende "The wasteland that is me" con un tocco più soft, e così anche la chiusura del disco. Un disco che ha più anime e che riesce a convincere, sebbene non tutti gli episodi siano interessanti allo stesso modo. Non farà gridare al miracolo ma abbiamo bisogno di lavori e di gruppi come questi. Supportateli.

Label: Metropolis Records
Voto:

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