martedì 13 dicembre 2011

The Black Keys - El Camino (Recensione)

The Black Keys - El CaminoDopo il successo di "Attack & Release" (Nonesuch Records, 2008) avevo atteso con trepidazione il capitolo successivo, "Brothers" (sempre pre Nonesuch Records, 2010), rimanendo parzialmente deluso dall'inaspettata svolta "pop" intrapresa dal duo di Akron, Ohio. Qualche tempo dopo, leggendo un'intervista alla band, apprendo con tiepida euforia che i Black Keys hanno in serbo una nuova uscita discografica; ad avvicinarmi al nuovo lavoro è una dichiarazione di Dan Auerbach, cantante e chitarrista del gruppo, il quale afferma che il nuovo album sarà fortemente influenzato da band quali The Cramps e The Clash. Basta questo per far riprendere quota alle aspettative. Inserisco "El Camino" nel lettore cd, premo "play", ma nel calderone di suoni anni 70 fatico a trovare sia Joe Strummer che Lux Interior; la cosa non mi turba affatto poiché, con piacevole stupore, ritrovo il "tiro" dei giovani Black Keys, pieno, sostenuto, coinvolgente, che già aveva caratterizzato i primi lavori, più grezzi e minimali. La presenza di Danger Mouse (Gnarls Barkley) alla regia, già dietro al mixer nei precedenti due lavori, garantisce una spolveratina ai suoni e una produzione più stratificata. A differenza del precedente episodio discografico, come già detto, torna piacevolmente a galla l'attitudine e l'urgenza rock'n'roll, portando la testa dell'ascoltatore ad un involontario, quanto naturale, movimento ondulatorio del capo difficilmente contrastabile (ma, dopotutto, perché dovremmo opporre resistenza?!). "Lonely Boy", singolone radiofonico già da qualche mese nelle playlist delle stazioni più popolari, apre le danze con un ritmo e una melodia irresistibilmente catchy, seguito da "Dead an Gone" che lascia intravedere l'anima soul del gruppo grazie agli onnipresenti coretti in sottofondo. In "Gold On The Ceiling" entra in campo con prepotenza la tastiera vintage di B.Burton a svelare in parte il segreto della pienezza sonora del duo che, nonostante ammicchi pericolosamente ai grandi classici '70, riesce sempre a risultare a suo modo attuale. La zeppeliniana "Little Black Submarine" si presenta come l'unico episodio parzialmente quieto del disco; l'esplosione sonora intermedia trasforma le trame acustiche delle chitarre in un intreccio elettrico "pageano" che spinge l'ascoltatore ad assicurarsi che sulla copertina non ci sia davvero scritto "Black Keys IV". "Money Maker" e "Run Right Back" ricordano le arie blues, grezze e nervose degli esordi, mentre in "Sister" e soprattutto in "Nova Baby" i due sembrano ricercare una strada più scanzonata e/o semplicemente più pop. Tra i pezzi più incisivi dell'album c'è sicuramente "Hell of a Season" che, sarà la chitarra in levare, sarà l'inaspettata parentesi semi-raggae centrale, suggerisce finalmente degli echi clashani, a mio avviso mai così evidenti nel resto del disco.

I Black Keys trovano, qui più che nei precedenti dischi, il giusto punto di incontro tra passato e presente senza mai abbassare il tiro, senza mai diventare noiosi. "El Camino" è il tuo vecchio furgoncino anni '70, revisionato da due giovani meccanici di paese che, oltre ad aver imparato al meglio il mestiere insegnatogli dalle passate generazioni, sono in grado di migliorare inaspettatamente le prestazioni del tuo mezzo. Qui all'officina Black Keys la tradizione va a nozze col presente.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Nonesuch Records


1 comments:

Anonimo ha detto...

erano un gran duo, gli ultimi lavori compreso questo mi hanno deluso.

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