Il trio partenopeo denominato "L'amo" si avvale della facoltà di stordirci, in poco più di venti minuti complessivi, con una raffica di tracce in cui il "non sense" regna sovrano.
Di Primavera in Primavera confonde. Come confonderebbe una secchiata in testa lanciata da tre amichetti disgraziati. Arriva inaspettata, ti disturba sei secondi e poi giù a ridere. Ci invitano a giocare e si gioca molto. Si gioca con titoli che puzzano di ironia bastarda (Dura la vita del superdotato, Dale Cooper sei un feeesso!) e si gioca a gettarsi in faccia una modalità compositiva che pare immediata, urgente, grezza. In due parole: lo fi. Il cantato è un urlo corale quasi da stadio, disarticolato e prepotente. I ritmi sono basic, scanditi in maniera ossessiva, proprio come una marcetta, un anatema per sfigati che hanno solo e soltanto voglia di esprimersi, senza troppe pretese, gridando al vento scemenze, così come gira. L'Amo richiama dunque le sonorità di Verme, ne ricorda l'irrequietezza e l'ansia espressiva, e forti sono anche i rimandi ad inni sporchi e grossolani di band come gli Altro. Siamo qui però aggrediti da intro che ingannano, come inganna il poetico titolo dell'album, creando atmosfere pseudosofisticate o irriverenti destinate a soffocare in un approccio decisamente punk. L'innovazione sta proprio nell' introduzione di synth, un originale accostamento fra sonorità da videogioco e sottofondi musicali grezzi, emocore, quasi a volersi dare un tono per il puro gusto dell'autodissacrazione.
L'ironia pungente e maleducata di canzoni come "Le parole sono orpelli del METAL", "Sulla Svirilizzazione di Quagliarella" e "Curzio Malaparte", l'introspezione frettolosa di pezzi come "Sembrava facile" o "Distratto" e momenti di puro synth senza parole in "Aurelio De Laurentis, musa e maestro": questi i temi cari al trio e queste le modalità comunicative utilizzate per presentarci un nuovo e scanzonato punto di vista sulle cose.
E' come andare a spasso per Napoli con i soliti tre scugnizzi sciagurati, trasandati e caciaroni, provare a guardare il panorama con i loro occhi, intristirsi un pò, capire, e poi sentire l'urgenza di commentare sguaiatamente. Camminare e dissacrare, canticchiando canzoni a rallegrare l'atmosfera e sbeffeggiando chiunque, qualsiasi cosa si muova in superficie. L'amo si impone con sfacciataggine. Vuole ridere con noi di quello che c'è attorno con canzoni sfrontate che in fondo in fondo fanno riflettere, o in fondo in fondo forse no. "Di Primavera in Primavera" è dunque un album impertinente. Una burla sonora.
Ci ritroviamo, a fine ascolto, come ragazzacci, a ridacchiare alla Beavis and Butthead, salvo poi restare due minuti sospesi. Con qualcosa di irrisolto addosso, qualcosa di incompleto, sconclusionato come le tracce ascoltate.
L'amo ci lascia con lo sguardo confuso. E la bozza di un sorriso in faccia.
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