Il mito dei caruggi genovesi dalla mente capovolta torna a far parlare di sé, i gloriosi Lo-Fi Sucks! sono di nuovo in pista a premere sull’acceleratore dell’indie per riportare quell’impronta fighissima che per più di un decennio ha dettato regole e angolazioni dentro i compartimenti dell’underground; “Loud, fast, shut up!” è l’album che aspettavamo e che doveva uscire l’anno scorso, disco registrato nel lontano 2004 anno del loro scioglimento e che finalmente vede la luce - sulla distanza di sette anni di silenzio – in tiratura limitata di cento copie in vinile, ed è un bel rientro questo della formazione ligure, speriamo che duri a lungo per poter ancora rimpinzarci della loro musica ribelle, mid-fi, stranita e straniante nella testa come a portare l’apparecchio per i denti in una giornata di canicola, scura e luminosa come un neon lampeggiante nel massimo vigore energetico; con il pathos fremente di Lou Reed che ancheggia lungo la venatura della tracklist e con la semplicità dei grandi a confrontarsi face to face con le stature di numeri xl come Sebadoh, Pavement, dEUS e certi Sonic Youth, i LFS con questo disco postumo riaprono in pieno la partita che avevano chiuso quel maledetto 2004, tornano a rendere importante e lucido il post-rock e dintorni di casa nostra. Dieci tracce melodiche, storte, distorte e lunari, preda di lampi e lussureggianti emozioni, atmosfere arpeggiate, ossessioni compressate e dilatate, mai disturbanti oltre il wall of sound , eclettiche e molto, molto americane nelle direttrici; c’è tutto un mondo di scompensi stupendi dentro questo bel pezzetto di storia di note italiana, un mondo che riappare, mai scordato, per tornare a dare fuoco alle animalità poetiche che non soggiaciono ai diktat, alle metriche imposte e alla forma canzone rigida come dopo un colpo apoplettico od un rigor mortis, in poche parole libere. Impareggiabili autori di un sound personale ed obliquo, i LSF ci presentano il conto espressivo della loro arte sonica, il deliro elettrico e jamming di “Know your orange!”, l’aria opaca e post-rock che si respira tra i mulinelli di “I wan’t complain”, il dondolio ipnotico “No taste”, la psichedelica Velvetiana che ubriaca di benessere espanso “Fat butterfly”, il fiato sul collo degli Encode “Rats from Strasburg” per poi morire dentro sulle note della ballata seventies “The rising tides of conformity”, un conto che paghiamo più che volentieri pur di risentire questo trio ovunque ci sia alternativa in giro. Ora non ci rimane che sperare, e nel frattempo correre in fretta perché le cento copie finiscono subito e rimanerne a secco è come demolire una voglia di sorprendente acclamazione. Lo-Fi Sucks! Welcome on the circuit.
Voto: ◆◆◆◆◆
Label: Ouzel Records
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