Good Luck non è solo il quinto album dei Giardini, bensì un vero e proprio augurio per questi tempi controversi. Li avevamo lasciati a dividere opinioni e dar voce al fuoco nel rifuggire l'idea di un disco come raccolta di canzoni ed ora Jukka e soci (cambio alla batteria con Andrea Mancin che subentra alle pelli al posto di Francesco Donadello trasferitosi a Berlino), devono fare i conti con l'attualità musicale circostante e sempre più espansa dalle possibilità offerte dai nuovi media. Good Luck, come tutti i lavori dei Giardini d'altronde, è un album che dividerà il pubblico tra coloro che assecondano l'idea romantico-spettrale alla base dei vecchi paladini dell'indie italico e quelli che trovano nel progetto un esteso senso d'indifferenza. I Giardini di Mirò non sono facilmente inseribili in un unico contesto sonoro e in quest'album tendono a dar riprova delle loro idee giostrando tra wave, minimalismo cantautorale e chiaramente riverberi, droni e delay di pura scuola post-rock, con lo spleen sapientemente dosato e riversato in tutta l'opera. Dall'opening "Memories"(piena ottica Tellaro, Gentless3), una sorta di marcia minima e struggente scandita da controcanti fantasmagorici e accenni percussivi, Good Luck avvicenda una scaletta che sembra offrire meno spunti d'interesse del previsto. Per fare il punto della situazione è giusto interpellare subito quei momenti che lasciano all'ascoltatore il ricordo di un album che tende a non smarcarsi come dovrebbe da molte produzioni contemporanee. Parliamo della wave di "Ride", a ben defluire con suoni pastosi e riverberati in zona shoegaze (a cercare anche solo in casa nostra a qualcuno potrebbero venire in mente i mai troppo compianti Edwood), o di "There is a Place" col featuring della splendida Sara Lov (Devics) che affronta una sorta di stanco crepuscolo dreamy, tra ombreggiature e sonnambulismi vari. I fiori all'occhiello sembrano infine confermarsi quella "Rome" (ospite Angela Baraldi) col suo crescendo tra blues spiritato e deragliamenti su finale Mogwaiano e la conclusiva "Flat Heart Society" che lascia infine ai Giardini di riuscire nell'ardua impresa di renderci un brano decadente e perfettamente dosato tra atmosfera e tenacia post-rock spinto all'estremo nelle sue saturazioni sonore e reiterazioni ipnotiche. Detto ciò l'impressione che si ha ascoltando la strumentale title track o l'aperta citazione ai Joy Division di "Time on Time" è che nulla di nuovo sia stato gettato nel carniere lasciando a fine prova poco coinvolti dalla proposta musicale.
Quella dei Giardini di Mirò è senz'ombra di dubbio una carriera esemplare ed un operato che su suolo nazionale e non gli ha sempre contraddistinti. Al quinto album la band reggiana appare forse leggermente a corto di idee nel ripescare dal proprio sound passato senza grossi scossoni. Good Luck è dunque un augurio che i Giardini rivolgono a noi tutti in un disco con momenti meno elevati d'altri, che tende a lasciare un po' l'amaro in bocca non imponendosi come ci si aspetterebbe e dissolvendosi in parte nell'anonimato delle produzioni attuali.
Gli Zu a Pescara
-
Una data da non perdere quella degli Zu a Pescara! Noi non mancheremo. Di
seguito tutte le info:
Skeptic Agency / Mutiny presentano ///
ZU (IT)
Ipecac ...
9 anni fa
0 comments:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.