Una piccola forza della natura che attenziona la natura come essere da prendere ad esempio con la forza della musica. E’ questo quello che esce dalle porte soniche degli Iceberg, formazione pavese qui al primo passo ufficiale con “Caro tornado”, nove tracce a combustione veloce e registrate in presa diretta che, una volta inserite nel lettore, danno la vita maledetta per una robusta manciata di minuti; forti, veloci, incisivi e con pochi cazzi nella testa, lucidi e elettricizzati, i nostri danno una performance rock’n’roll esaustiva e a tutto tondo, in cui la centralità delle chitarre è una formidabile presa rapida di pogo e un baccanale amplificato che mette sull’attenti.
Spore di blues catarrosi “Per un attimo mi avresti voluto morto”, stimoli ed eczemi punkyes storti e quei calori soffusi – leggermente evaporati – di indielogie pregresse, fanno bella mostra in questo prodotto sonoro niente male, vivo e urticante, che viene, morde e riparte per altri lidi da intaccare, da stravolgere con la massa di jack e poesia tagliuzzata; un disco carico di urgenze e sentimenti pestati a manetta, tracce e spiriti ribelli che ripropongono la centralità della provincia come fenomeno debordante di nuove esigenze distorte e sparate a raffica, quell’esserci prepotente che non fa male ma solo bene per nuovi ascolti e nuove voglie da assecondare, e gli Iceberg su questo non si tirano certo indietro a sentire quello che hanno imbastito in questa tracklist altamente infiammabile.
Qui si amano i grandi volumi, le “intemperie soniche” che gestiscono la titletrack, gli stati esplosivi di calma apparente “Dosati meglio”, le dissolvenze Kuntziane “Clima”, “Nagasaki blues”, le ballate chete di Timoriaca memoria “In piena”, le coralità espressive che battono cassa in “Ercole” per arrivare a “F”, traccia che oltre a portare al capolinea il disco, rimarca a fuoco la potenza di questo trio, di questo ottimo guazzabuglio di note, pensieri e bollette energetiche dilapidate per sottolineare che Alessandro Mogni chitarre e voci, Renzo Carbone basso e voce e Marco Monga alla batteria non esistono a caso, ma sono qui per sintetizzare quella “natura delle cose” che spinge il filo conduttore della loro intemperanza rock ad andare ben oltre questo semplice e affermativo ascolto.
Questo disco non è altro che la punta di un “Iceberg”, non osiamo immaginare quello che cova sotto!
Voto: ◆◆◆◆◇
Autoproduzione
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