Torna il pluricelebrato duo
maliense dopo i fasti di "Dimanche a Bamako", prodotto nel
2005 da Manu Chao, e "Welcome to Mali" del 2008, che vedeva
la collaborazione dell'inconfondibile Damon Albarn. Giunti ormai al
loro settimo album, senza contare raccolte, live e remix, Amadou &
Mariam scelgono di avvalersi di un carnet davvero fitto di presenze, forse troppo. Perchè come spesso accade in questi casi, il risultato anche se
apprezzabile non risulta sempre convincente. Detto questo, non
mancano brani destinati ad entrare a pieno titolo tra i classici
della coppia di musicisti non vedenti, come ad esempio la
opening-track Dougou Badia, con uno dei featuring più in voga
del momento: quella di Santigold è una voce dalla quale sai
esattamente cosa aspettarti ma di cui non ci si stanca (quasi) mai.
Inoltre, a donare uno spessore tutt'altro che relativo a questa sorta
di teso rock tribale interviene anche Nick Zinner, chitarrista degli
Yeah Yeah Yeahs. Atmosfera del tutto diversa quella che si respira
nel soul funk di Wily Kataso,
così impregnato di afrobeat da richiamare alla mente il mitico nome
di Fela Kuti. Non che si possa fare un paragone del tutto calzante,
anche perchè alla batteria manca un certo Tony Allen, ma la presenza
delle voci di Tunde Adebimpe e Kyp Malone, entrambi provenienti dai
TV On The Radio, contribuisce a garantire il buon livello del brano.
Qualche segno di incrinatura
comincia a farsi sentire con Oh Amadou, che già dopo il
secondo minuto sembra avvilupparsi su se stessa; in questo senso la
voce di Bertrand Cantat dà l'impressione di appesantire la canzone
piuttosto che renderla più intrigante. Anche con Metemya,
con Jake Shears degli Scissor Sisters, non si raggiungono le
vette del 'made in Mali' per via di alcune scelte melodiche che
suonano forse un po' troppo come già sentito. Si risale di quota con
Africa Mon Afrique, dove ritroviamo l'ex Noir Desir Cantat
alle prese con una canzone dal sapore sufficientemente patchanka da
ricordare la Mano Negra; niente male l'orchestrazione dei fiati,
mentre sul versante della melodia (anche qui) sarebbe stato bello
aspettarsi qualcosa di più.
Decisamente scarso il funk
in salsa caraibica di C'est Pas Facile Pour Les Aigles;
melodie e ritmica del tutto scontate mi riportano agli incubi degli
insopportabili Spin Doctors (devo farmi vedere da uno specialista).
Va un po' meglio con Wari, non certo per merito del featuring
di Amp Fiddler quanto piuttosto del bell' arpeggio veloce eseguito
alla chitarra da Amadou. Finalmente in Sans Toi ritroviamo
Amadou e Mariam senza l'apporto di alcun ospite eccellente; un bel
brano tra blues del deserto e tradizione musicale maliense.
Ancora il duo in evidenza in
Mogo, altra canzone che risolleva le sorti dell'album, colma
di riferimenti alla terra del Mali (nell'uso di strumenti come lo
ngoni) e che vede nuovamente, ma più limitatamente, la presenza di
Cantat. Quella del cantante francese è una presenza quanto mai
massiccia all'interno del disco, tanto da ritrovarlo immediatamente
dopo in Another Way, brano dalle buone potenzialità, con
qualche leggero ammiccamento al dub ed un ritornello (anche un
troppo) orecchiabile. Tra gli episodi migliori del disco inserirei
sicuramente Bagnale e non solo per meriti eclusivamente
musicali. Pur essendo un bel brano dall' ipnotica trama
chitarristica, da farne un valido esempio di blues del deserto, è
d'obbligo annoverare la presenza del guerrigliero e chitarrista
Tuareg Abdallah Oumbadougou, il che sul piano politico assume un
significato non indifferente se consideriamo il clima di tensione che
si respira in Africa Occidentale ormai da diverso tempo. Tornando
alla musica, quella di Nebe Miri,
con la collaborazione del rapper Theophilus London, suona come
una buona occasione sfruttatata male; la canzone sembra da subito
come una delle migliori se non fosse che all'arrivo del ritornello ci
si debba ricredere per via, ancora una volta, della carenza d'idee
sul piano melodico. La chiusura dell'album spetta a Chérie,
con Amadou impegnato in un arpeggio caraibico e Mariam ad intessere
linee dolci nelle quali si inseriscono dapprima un coro di bambini e
subito dopo la kora dell'illustre maestro Toumani Diabaté.
In definitiva "Folila"
(ovvero 'musica' nella lingua bambara), pur collezionando una
manciata di brani di ottimo livello, sembra risentire del peso che
una certa notorietà spesso comporta. Può accadere che non si tagli il traguardo dell'ennesimo disco imperdibile anche sul terreno fresco
della via africana al pop e alla contaminazione. Ma pareri personali a parte, sta come sempre a voi che leggete l'ultima parola. Buon ascolto.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Nonesuch
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