giovedì 27 dicembre 2012

The Evens - The Odds (Recensione)


Il freddo dei tetti, l'intermittente luminosità dei viali, il termometro a segno negativo; il paesaggio qui intorno è lo stesso di un anno fa, quando su queste stesse pagine scrivevo dell'atteso ritorno della coppia MacKaye/Farina che dopo anni di silenzio si riaffacciava all'universo musicale dando alle stampe un piccolo EP, prelibato assaggio di quello che già si prospettava come un interessante terzo episodio discografico.
Rieccoci dunque, a dodici mesi esatti di distanza, con "The Odds" tra le mani, un ennesima prova di coerenza e di stile senza eguali, caratteristiche alle quali gli stessi The Evens, la Dischord e più in generale la scena musicale del District of Columbia ci abituano ormai da decenni.
Ed eccolo lì il motivo di tanta attesa, ben in vista in copertina, stagliato sul cielo nuvoloso del Campidoglio troneggia Carmine figlio della coppia MacKaye/Farina (titolari unici del progetto, rispettivamente voce - chitarra baritona e voce - batteria) a ricordarci che mamma e papà in tutto questo tempo oltre ad un disco hanno anche messo sù famiglia.
Mentre ritroviamo il solito e solido MacKaye dal timbro vocale inconfondibile e dalla volontariamente ibrida identità chitarristica (la pregevolezza della baritona, un po' basso, un po' chitarra - vedi This Other Thing su tutte), quel che spicca innegabilmente è il ruolo più che mai centrale interpretato dalla Farina, la cui voce emerge sempre più spesso da dietro le pelli, in perfetta armonia con il compagno (Let's Get Well ne rappresenta l'esempio più alto) o in una meravigliosa veste solista (in una più che convincente Broken Finger).
In mezzo ai tanti pezzi ormai consolidati per stile e alle mai assenti reminiscenze fugaziane (le sei corde strapazzate di Wanted Criminals e il botta/risposta vocale di This Other Thing, nella quale Ian sembra sentire la mancanza dei coretti ermetici tanto cari al quartetto di Washington DC) compaiono questa volta delle piccole novità, dall'utilizzo appena accennato di piano e tromba in Competing with the Till (dalla ritmica quasi bossa) allo slowcore di I Do Myself  (in cui il pensiero corre rapido al collega Joe Lally), fino ad un inedito solo di batteria all'interno della strumentale Wonder Why, traccia tra le più riuscite del disco nonostante la mancanza di parti vocali.


Quello che inizialmente sembrava essere un side-project a conduzione famigliare supera quindi brillantemente la soglia mai facile del terzo disco, confermandosi come una realtà solida e determinata a portare avanti il lavoro svolto fino ad ora.
E visto il clima natalizio si potrebbe pensare di regalare un basso al piccolo Carmine, chissà mai che tra qualche anno non si accorga di quanta qualità aleggia tra le mura domestiche.
Ci pensi tu zio Geoff?

Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Dischord


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