Sei tracce in totale per una “totale” full immersion tra le pieghe in trasformazione di un nuovo artista romano Durden che, insieme ai suoi The Catering e nel nome di un estremo amore nel giostrare parole, concetti e somiglianze, arriva trafelato alla soglie di “Il nostro quadro”, un dischetto che fa sentire per intero la sua anima in ognuna della canzoni che sono in scaletta, e che senza tanta fatica catturano l’attenzione per la loro predilezione a fantasticare tra stomaco e cervello.
Ed è anche una tracklist che col tempo prende ed assume forme pop contaminate e intriganti che ricordano da vicino i Tiromancino della prima epoca, quel senso dubbato e rallentato che evapora e contorna atmosfere mid-ricercate, pegne di riflessioni e ispirate qualità di contrasto; quello che David Boriani (questo il nome vero di Durden) vuole esprimere e allontanare dalla sua poetica è quell’appellativo “molto di moda in questi frangenti” di cantautorato generico e a stampo, quel “direttamente ispirato a niente” che sta bollando gran parte delle nuove proposte, e DATC vince per la ricerca di quella forma-canzone di contenuti che va a rappresentare una - seppur ancora virginale – nuova atmosferica, una infinitesimale rinascita di gusto, modo e confidenzialità al confine con il sorprendente.
Dunque piccole poetiche per grandi vibrazioni, che a parte la stupenda rivisitazione di “La musica è finita” di Umberto Bindi, fanno respirare le arie coloniali e gipsy di “Nel tuo immaginario”, s’intravede uno Zampaglione in levare “Res Pubblica”, “Ventuno primavere” per poi finire con la carica di una trama guascona che riga la titletrack; con un fascio d’estetica confidenziale, il disco gira che è un portento e si copre di un alone scintillante, che nella sua purezza scardina le più accomodanti convinzioni d’altro, un disco che fa strippare con la violenza delle cose respirate con amore.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: UDU Records/New Model Label
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