L’invisibile tracciato accennato dai Low
anticipa il corso delle stagioni tratteggiando paesaggi di tiepidi inverni, che
trapassano ovattati in una primavera infantile. La scrittura estende
ininterrottamente l’ispirazione sottesa al precedente C’mon (2011), la cui
sostanza era tuttavia una placida marea notturna dai poteri incantatori: il
silente cullare si ritrae, per consentire alla consonanza delle voci di rivelare
un coro pastorale di invocazione dispiegato all’alba dell’ultimo giorno.
Il cantato sommessamente
struggente si adagia su arpeggi timidi che abbracciano candidamente gli
interventi di piano; la consapevole sottrazione di ogni elemento eccedente
l’essenziale struttura compositiva e le sobrie sfumature sonore dischiude ogni
variazione come irripetibile e peculiare: l’elegiaca "So Blue" si staglia limpida
e aperta, ed esalta senza scomporre la misurata armonia dell’opera. La voce di
Mimi Parker vibra suadente come tramutata anch’essa in strumento, e si eleva
traslucida sulla chitarra impalpabile nel folk confidenziale di "Holy Ghost",
mentre la vocalità cangiante di Alan Sparhawk valorizza il drumming discreto
che tenace sorregge Clarence White, in cui trova irresistibile connubio con
l’arpeggio intrigante. La suggestione persevera nell’accattivante melodia
intessuta in "Just Make It Stop", lirico bozzetto dalle tinte paisley e dal
respiro bucolico, e sembra irrobustirsi in prossimità dell’epilogo con il
crescendo dinamico dominante in "On My Own", che scivola e lentamente si stempera
nell’intimità dell’episodio conclusivo.
L’incantamento sidereo del
predecessore sovrasta ancora per accuratezza e fascino quest’intimo acquerello
dai toni agresti, che perpetua onorevolmente il retaggio di un estro
innegabile, sebbene non ugualmente persistente nel ventennale impegno della
band, senza segnare inedite vette creative.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Sub Pop
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