Una recensione scritta a quattro mani, per confrontarsi su una delle coppie, artistiche e non solo, più opinate sin dal loro primo Ep nel 2010.
Benvenuto all'Oblio!
O sarebbe meglio dire che è un Benvenuto nell'Oblio. Perchè? Sono passati
alcuni mesi dalla pubblicazione, da parte dei quattro membri del progetto How
to Destroy Angels rispondenti ai nomi di Trent Reznor, mente del progetto NIN,
di Maryqueen Maandig-Reznor, sua moglie e singer, di Atticus Ross e di
Rob Sheridan e questo ha rappresentato un viaggio nell'Oblio che ha portato al
compimento del primo full length, di un lavoro che, inizialmente e per
via del suo E.P. An omen, aveva destato non pochi pareri negativi.
Un nome impegnativo per chi viene considerato
redentore delle pene afflitte con lo scioglimento dei Nine Inch Nails, di cui
tanto ricorda il sound con le prime track tirate fuori dal cappello, in
digitale , tre anni fa come con "The Space in Between".
Si era tacciato il
mastermind Reznor di aver dato vita a qualcosa di scontato, tutto sommato di
accettabile ma che non basta quando si parla di un personaggio dal quale ci si
aspettano solo grandi risultati. E la volontà di sperimentare all'interno di un
genere, sì, elettronico, ma pur sempre molto diverso dalla linea principalmente
seguita in NIN, ovvero virando verso il trip hop, aveva dato luogo a
pensieri legati al fatto che, non avvezzo al genere, egli non sapesse spingerlo
al massimo suonando banale e ripetitivo.
L'attesa per il 5 marzo, quindi, per il
loro primo lavoro completo in studio di ben tredici tracce, è alta ed è
spiazzante riconoscere quanto la band sia cresciuta, lasciandosi alle spalle, il sound del colosso della musica che l'aveva preceduta.
Welcome Oblivion è ricco di contraddizioni
e cambi di scenario, pur rimanendo improntato su note molto cupe ed
introspettive.
Indubbiamente il minimalismo e la
ripetizione sono ancora parte integrante di questo lavoro, eppure si è
verificato un salto importante tra il lavoro precedente e questo. Basti
pensare a brani presenti all'interno di entrambe le releases come "Keep
it together", "Ice age", e altre. Ebbene, così come ci mostra la
lezione duchampiana, gli elementi in sè non sono oggettivi ma, come "objet
trouvèes", possono mutare a seconda del contesto nel quale sono inseriti ed
acquisire un nuovo significato.
Apre con un piccolo assaggio lungo meno di
due minuti per poi sfociare in uno dei due pezzi portavoce dell'intero lavoro "Keep it Together", dove una ben fatto uso di digitalizzazioni crea un brano
che scandisce il ritmo di vita dell'ascoltatore.
L'altra track "How Long" promossa e
lanciata dalla band stessa come portavoce dell'intero album, la troviamo un po' più in là nel cd, preceduta da brani non altrettanto importanti se pur
piacevoli come "On the Wing" e la title track "Welcome Oblivion" ne è manifesto:
non camuffando con le note, si da molta importanza al testo del brano stesso,
che appunto possiede molti pochi fronzoli e prodigi dell'elettronica.
E' quello che succede qui,
nonostante si possa pensare che essi siano gli episodi più deboli di un disco
che sa a volte anche indurire le proprie sonorità, rappresentate
da architetture sonore ampiamente e saggiamente tessute dal musicista Reznor
per venire poi utilizzate dalla moglie Maryqueen. Non è ben chiaro chi dei due
sia il personaggio vincente all'interno di questa sottile alchimia. Ogni brano
è una idea a sè, a volte più o meno riuscita, nonostante sia sempre forte
l'impressione che le migliori siano quelle più brevi e concise, anche
perchè il minimalismo, a volte, può stancare. Welcome oblivion non vuole
decollare, non deve decollare verso beat frenetici o tessiture
industriali, il qui presente non ha nulla a che fare con l'industrial ma
è una prova interessante di un musicista che vuole sperimentare qualcosa di
nuovo. I limiti tecnici, inutile negarlo, sono tanti.
Chiudono l'album delle track
sufficientemente lunghe, tra I 6 e gli 8 minuti, a perdere il filo dello stesso
che non colpiscono particolarmente e che non spiegano nemmeno le intenzioni di
questo quartetto americano.
Gli How to Destroy Angels non potranno mai essere i Massive Attack, così come, probabilmente, essi
non verranno mai ricordati come il miglior side project di Reznor.
Questo non toglie che si tratti di un prodotto godibile che, a tratti, mostra
qualche episodio particolarmente buono come la opener "The wake-up" o la già citata titletrack. Forse tredici brani sono troppi, ma riescono a dimostarsi ugualmente apprezzabili. Si tratta solo di capire quali siano le aspettative che
ciascuno di noi si pone nei confronti di un lavoro del genere.
Ancora non troppo distanti da loro stessi e
dalla loro prima uscita, la bellissima "A Drowing", gli HTDA ci regalano un album studio mutevole,
con tante diverse ispirazioni all'interno, sicuramente da collezione per gli
amanti della musica "riarrangiata", meno per chi invece rimpiange I NIN.
Martina Frattura.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: The null corporation
Martina Frattura.
Voto: ◆◆◆◇◇
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