Quando mi è stato suggerito di
scrivere qualcosa su quest’ultimo lavoro degli Ofeliadorme, ho esitato:
vincolata a un’inestirpabile ignoranza e a un’ingenua supponenza nei confronti
della musica italiana, avevo candidamente trascurato la carriera della band
bolognese, sostanzialmente senza averne mai sentito una nota. Suggerisco un
inganno pedagogico, come quando ai bambini viene camuffato il cibo che si
rifiutano di mangiare: se mi avessero tacitamente propinato Bloodroot omettendo
la provenienza geografica degli artefici, lo avrei ingurgitato obbediente. Non
avrei avvertito alcuna traccia di italianità cantautorale nel songwriting, né
avrei percepito un dislivello qualitativo rispetto alle sonorità estere: tutto
concorre a definire un lavoro consapevolmente internazionale, che conferma le
attestazioni di stima collezionate oltre i nostri confini e sancite lo scorso
settembre dalla collaborazione con Howie B.
Il proscenio è inevitabilmente
guadagnato dalla vocalità di Francesca Bono, dotata di naturale apertura corale
e incline a una limpidezza non priva di sfumature; il velluto traslucido della
voce si adagia su pulsazioni percussive quasi silenti, spesso frammentate
secondo una reduplicazione affine alle sonorità rarefatte elaborate da Martin
Hannett, a tratti stravolte in interferenze disturbanti e altrove diluite in un
torpore post-rock.
La chitarra, impegnata a
intessere trame luminescenti, nella title track acquisisce sonorità wave,
stemperate secondo l’estro psichedelico di David Roback. È infatti l’atmosfera
trasognata e insieme conturbante di Opal e Mazzy Star a venir adombrata nel
connubio tra i sospiri fanciulleschi del cantato e lo sghembo tracciato
chitarristico, in un equilibrio cristallino in cui i suoni sono distillati e
dosati come estratti medicinali. L’abilità di conservare un’armonia ponderata,
attraverso l’evoluzione strutturata nello spazio di una canzone, trasforma il
dream pop malinconico di "Ulysses" in una tesa preghiera, mentre in "Brussels" la
voce impalpabile si irrobustisce, trascinando in primo piano la chitarra
obliqua.
L’elemento derivativo è
innegabilmente evidente, ma non segna assenza di esclusiva identità: le
suggestioni sono assimilate da una scrittura di singolare compiutezza e
plasmate secondo scelte sonore intriganti. Il bloodroot (Sanguinaria
Canadiensis) è un fiore dalla linfa di tonalità sanguigna e di alta tossicità,
pianta perenne e perciò destinata a lunga sopravvivenza: per il lento, tacito e
seducente veneficio degli Ofeliadorme si prevedono effetti prolungati.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: The Prisoner Records
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