Non sono io la prima a portare la
buona novella: si enumerano nutrite le schiere di seguaci dediti all’ascolto di
musica sconfortante e ansiogena, la cui qualità opprimente non è un deterrente
né una caratteristica estrinseca, ma l’esatto requisito corroborante in grado
di annientare il tedio della quotidianità dell’essere vivi. Il panico, a cui è
concessa solo la melanconia quale sollievo, è evidentemente uno stato di trauma
emotivo a cui ricorriamo volentieri per distinguere un istante dall’altro e
isolare i giorni oltre la serialità.
Di questa sensibilità insieme
familiare e straniante come mobilio demodè si alimenta il debutto delle Echo
Bench, trio israeliano che allinea apocalissi domestiche e deflagrazioni
sommesse, rivelando d’impatto l’eredità degli Wire di "Chairs Missing": il
miagolio capriccioso e affranto della voce preme contro il pertugio incastrato
tra lo scricchiolare melodico del basso e le litografie tracciate dalla
chitarra sulla latta sorda della batteria. Mentre il moto perpetuo di "The
Same Mistake" riproduce l’ostinata
ossessività di una perversione morale, "Out Of The Blue" è sconquassata da striduli intermezzi acuminati; i
seriali esotismi chitarristici di "High Noon" innescano in combustioni mediorientali gli
infantilismi vocali di Noga Shatz, che si irrigidisce in un’isteria suadente in "High Roller", frenesia epilettica
di scuola Circus Mort, strutturata su una partitura mutila di una progressione
narrativa riconoscibile. Il basso minaccioso, insinuandosi attraverso la rada
ragnatela degli arpeggi di "Broken",
puntella il lamento fanciullesco del cantato, prima di lanciarsi in un severo
precipitare percussivo in "Liquid Sky"
e sferrare una rivendicazione di preminenza sul balbettio frustrato di "After
Party". "24" esibisce un’accattivante e maliziosa filastrocca,
rumorosamente e indolentemente altalenante su un dondolio ritmico invincibile,
che si frammenta nella catastrofe sconsolata e claudicante di "French", affollata di sibili inquietanti e fragori
istantanei che si disperdono sulla fluidità mercuriale del basso.
L’epilogo,
affidato al marciare sconfitto di "Flesh a Bone", è una scommessa a perdere che confessa lucidamente
quanto si è disposti ad abbandonare: la posta in gioco è solo la vita, quindi
alzati e rifiuta.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: V4V Records
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