venerdì 31 gennaio 2014

Neil Young - Live At The Cellar Door (Recensione)

Sappiamo degli alti e bassi della sua carriera e delle doti di trasformista di Neil.
Partito con le sue country ballads alla fine degli anni 60 ed autore di alcune perle preziose ("Harvest", "After The Goldrush", "Rust never sleeps", "On the beach", solo per citarne alcuni ma anche "Deja Vu", in coabitazione con i suoi –ex- amici Crosby, Stills &  Nash) e passato per gli esperimenti R’n’R ("Everybody’s rockin’”) ed elettronici ("Trans"), Neil che spiazza tutti con dischi al limite dell’ignobile ("Landing on water" ad esempio) per poi stupire nuovamente ("The Ragged Glory" e "Mirror Ball"), Neil che da molti viene reputato il padre putativo del grunge.
Quel Neil che affermava  “once you're gone you can never come back, when you’re out of the blue and into the black” e “it’s better to burn out than to fade away” ma che (thanks god of R&R) non è né bruciato né svanito…
Ultimamente sta aprendo gli archivi, soprattutto delle sue esibizioni live dei primi anni 70.
E allora dopo "Live at the Canterbury House 1968" e "Live al Massey Theatre" del 1971, ecco questo "Live at The Cellar Door" (sarà un caso che l’anno dopo darà alle stampe "The Needle and the Damage Done" che inizia proprio dal nome del locale: "I caught you knockin' at my cellar door I love you, baby, can I have some more Ooh, ooh, the damage done")
La domanda potrebbe sorgere spontanea: c’è bisogno di dischi come "Live At The Cellar Door" a distanza di 40 e passa anni dal giorno in cui i concerti si sono tenuti? Aggiunge qualcosa al mito di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi?
La risposta non può che essere affermativa e non solo per i die-hard fans.
Si tratta di un collage dei 6 concerti che il canadese ha tenuto appunto al Cellar Door di Washington D.C. a cavallo tra novembre e dicembre del 1970 e Neil la sua “scimmietta” se la porta sulle spalle; basta ascoltare la lunga e “dopata” introduzione di "Flying on the ground is wrong" per rendersene conto (a proposito chi ricorda la grande cover cantata dalla dolce Susanna Hoffs - una dei “braccialetti” di "Walk Like an Egyptian" - presente sull’album Rainy Day, supergruppo, come si diceva una volta, composto da artisti del paisley underground?).
Neil si alterna alla chitarra e al piano eseguendo brani tratti dalle sue prime opere.
Le chicche ci sono.
Una "Cinnamon Girl" acustica ed ineditamente eseguita al piano oppure una versione di "Birds" da brividi ed ancora l’ inedita "Bad Fog of Loneliness" (ci sarà un motivo se lo avranno soprannominato The Loner) e le prime esecuzioni di "Old Man" (che vedrà la luce su vinile l’anno successivo) e "See the Sky About to Rain" (che verrà inclusa su "On The Beach", addirittura, ben 3 anni dopo).
Ci sono poi, escursioni nell’esperienza con i Buffalo Springfield ("Expecting to fly" e la già citata "Flying on the Ground is Wrong") e brani da "After the Gold Rush", appena uscito (la title-track, "Tell me Why", una bellissima "Only Love Can Break Your Heart" che trova la sua giusta dimensione nell’intimità del locale).
Insomma un documento che ci fa sperare che prima o poi sta maledetta/benedetta time machine la inventino una volta per tutte, per ritrovarci in un piccolo locale e restare rapiti davanti ad uno dei (più) grandi di sempre.

Voto: ◆◆◆◇ 
  • Label: Warner Bros

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