Nelle immagini del comunicato
stampa Sonya Carmona e Alison Alvarado si appoggiano l’una all’altra
intrecciate in un groviglio di cavi elettrici, o sorseggiano caffé in abiti
liberty con il collo cinto da un nodo scorsoio: difficile non cadere in errore,
prendendole per delle macabre epigoni delle CocoRosie, spogliate del glamour
finto-avanguardistico, o per una sintesi in duo dell’oscura femminilità delle
Savages. L’analisi sonora smentisce però l’immediato stimolo visivo: le Raincoats
sono emigrate in Costa Rica, dove hanno subito la mutazione virale inoculata
dal noise grezzo del decennio a loro successivo, palese nel singolo Button, plasmato da voci brumose e cangianti. Si direbbe, in questo incipit come nell’articolarsi
del lavoro, che le liriche siano irrilevanti, se non per la fisionomia sonora
con cui scolpiscono l’aria: si incanalano nell’unisono straniante ma al
contempo attraente di In Trance,
edificata su fondamenta percussive in cui la chitarra metallica flagella come un
basso; in No Name le fanciulle
diradano lo scalpellare in arresti annoiati mentre il timbro vocale, di una
freddezza morbosa, abbozza un refrain che si irrobustisce in un coro minaccioso
e infine in un sipario di minima variazione della linea melodica. Con Pieces
sono i riverberi a portare indietro il
calendario di decenni, fino alle ballate irrequiete di Siouxsie e delle sue
creature indemoniate che celebravano sabba secolari al richiamo di ululati
femminei ammalianti. Lontani richiami si levano in The
End, preghiera antica in cui la voce è ora
lanciata come una cometa in picchiata e le chitarre sono ossute come resti
tombali riesumati; le forme sonore si ammorbidiscono in Weary, tra volute vocali da incantatrici di serpenti e
arpeggi da mesmerismo che propagano tristezza in cerchi concentrici
innumerabili. Alison e Sonya si congedano sigillando il disco con il
claudicante lamento di Weblocks,
prima intriso di tedio e infine scosso in un sommesso tormento attorcigliato
nei riverberi; nessun rivestimento sfavillante di arrangiamenti accattivanti e
pseudo-sperimentazioni, nessuna smaccata e stanca imitazione di antenati
ingombranti: l’intenzione espressiva emerge tangibile, seppur a fatica tra le
scelte stilistiche ancora acerbe.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Red Sound Records
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