No,
non siamo ad Haiti eppure la festa, il KANAVAL,
sembra essere già cominciato.
Il
terzo e tanto atteso lavoro dei THE
MARIGOLD viene presentato dopo due anni di pausa e arriva precisamente come
se fosse il famoso “Carnevale”, quello in cui la parola d’ordine è fuga dalla
vita quotidiana, notte il sinonimo.
Come sempre, i The Marigold si muovono benissimo tra ombre e atmosfere
oniriche, le stesse che nei passati lavori hanno così bene rapito l’ascoltatore,
da lasciarlo ora scivolare lentamente nella fruizione di questo album.
Nato
dalla collaborazione di artisti quali Toshi
Kasai, Amauri Cambuzat e Gioele Valenti, Kanaval lascia alle
spalle quel viaggio introspettivo del penultimo lavoro e arriva finalmente a
toccare l’apice della concretezza, non solo dei suoni che ormai hanno lasciato
le venature del genere wave, ma soprattutto la concretezza dell’essere arrivati
al punto finale di una sperimentazione che li ha condotti evidentemente là dove
erano destinati a essere.
Un
lavoro, un carnevale di emozioni, una “rivoluzione”: nove tracce che grazie
alla fusione di post-rock, noise e un’inquietante reiterazione mantrica, danno
la possibilità di vedere immagini, a cominciare da quella inquietante di
copertina - disegnata dallo stesso Cambuzat (art work Kain Malcovich) -, di questo rito, il Kanaval appunto, a cui
l’album è profondamente legato.
È
così che, tra chitarre granitiche, voci distorte e la eco che continua a
sparire tra batterie sempre ben dosate, l’ascoltatore si ritrova catapultato in
strada, tra una folla di uomini ornati con maschere demoniache, corna di
Belzebù, immerso in un’atmosfera che non gli sembrerà affatto terrena.
La
sfilata parte con “Organ-Grinder”,
traccia puramente strumentale, caratterizzata da ripetizioni di suoni che ci
appaiono spezzati e stridenti, ma che hanno in sé una precisione cosi maniacale
da delinearsi in una struttura definita e corale: un ossimoro di emozioni.
La seconda traccia “Magmantra”, così
come la quarta “Sick Transit Gloria Mundi
“ , danno all’album invece il tono della rivoluzione, grazie a un’esplosiva
carica di post-rock, forse nuova al gruppo, ma che di sicuro gli calza alla
perfezione.
Si
fa comunque presto a tornare al buio della strada, tra il caos della folla, con
un’insinuante ma sempre poco invasiva voce, quasi un mantra che pare
seguirti, riconoscerti in mezzo a mille
volti. Ed è solo in tracce come “So Say We All” e “Disturbed” che essa si fa chiara e distinta, forse per lasciare un
messaggio criptato al resto dell’album.
Di sicuro si può dire che questo album trasuda passione nel trasmettere,
attraverso musica, suoni, rumori e versi, un senso di inquietudine che pochi
sono riusciti a fare.
Riassunto
di tutto ciò sono le due ultime tracce, o meglio l’ultima “Demon Leech”, dove una cavernosa, intima e demoniaca voce riesce a
sintetizzare alla perfezione l’intero concetto: un album che vi succhierà l’anima, che
riuscirà a portarvi lì dove non siete ancora stati, in un sereno ma pur sempre
infernale stato mentale.
Tracce
che mettono i brividi, che fanno rivivere uno spettacolo ormai non più
esistente, ma che grazie alla loro caratteristiche saremo in grado di rivivere alla
perfezione. E se poi voleste un’esperienza davvero unica, spegnete la luce, fatevi cullare da
questa musica per la notte e chiudete gli occhi.
No,
non sarete più soli.
Voto: ◆◆◆◆◆
Labels: (DeAmbula Records, Hyphen Records, Riff Records, Icore Prod.)
Labels: (DeAmbula Records, Hyphen Records, Riff Records, Icore Prod.)
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