In una delle scene principali,
e più famose, de "La Grande Bellezza" di Paolo Sorrentino, Jep
Gambardella, il personaggio principale del film, rivolge una domanda ad una
giovane performer.
In modo indisponente ed
irriverente, chiede all'artista in questione cosa sia una vibrazione, dopo
un'infinita sfilza di analisi e descrizioni sul proprio progetto artistico.
La ragazza non risponde, e va
in crisi alle domande insistenti di Jep. In quella scena, coesistono due
sentimenti predominanti, nel protagonista: la noia ed un profondo narcisismo.
Quello tipico delle persone disilluse, ma consapevoli di essere portatori di un
animo diverso, distinto. Indefinito, come la vibrazione di cui sopra.
Sostanzialmente, un circolo vizioso di vanità.
Il secondo album di Colapesce,
Egomostro, rievoca le medesime sensazioni, ed impressioni.
La disumanizzazione dell'homo
social, le sue liturgie, e quelle gocce di giudizio sulla vuoto delle stesse.
La metafora è ben chiara, ed è
palesata dalla struttura stessa dell'album, un ingresso ed un'uscita, il
passaggio dalla superficie al cuore delle cose, dell'indignazione del
cantautore. Nel descrivere l'ego dilagante, tratteggia il proprio, secondo una
titolarità ed un'autorevolezza che non si è ben chiarita, nè capita.
Solitamente, nel cuore di
un'indignazione vi è una speranza, un auspicio, o quantomeno una chiave di
lettura per indagare il presente.
Gli indizi non mancano.
Dall'atomizzazione individuale di "Dopo il Diluvio", alla rabbia di
"L'altra Guancia", alla superficialità ed il rumore di fondo, quello
dei giudizi e dell'insensibilità, di "Le Vacanze Intelligenti", fino
all'anti patriottismo di "Maledetti Italiani".
Ciò che lascia perplessi, e
tanto, è la nemesi di tante sofferenze, di tante disillusioni. L'emozione.
L'emozione malcelata, sopita,
messa a bada. Le emozioni di un amore, di un bel paesaggio, di una meraviglia.
Quello di un sentimento. Una bella donna, l'intimità di
"Sottocoperta". L'immancabile "riscoprire la bellezza", che
chiude l'album.
Come in uno scrigno da aprire,
da rovistare, all'interno del quale è inserita la nostra quotidianità.
Ed insistentemente, un monito.
Il dover smettere di essere presi da noi stessi, dalle nostre frustrazioni,
dalle nostre illusioni. Riscoprire l'empatia, l'emozione, il sentire semplice.
E' questo il nucleo, la narrazione umana, delineata dal cantautore siciliano.
Bene. Tuttavia, appare particolarmente miope, in fondo banale. Pretestuoso.
Come tutti i ritratti impietosi, scritti dalle cosiddette penne candide.
La verità è però un'altra, e
manifesta il più grande limite di Lorenzo Urciullo: la scarsa ironia ed il
prendersi troppo sul serio, il caricare troppo la propria moralità le liriche
dei suoi lavori. E sbatterla per intero all'interno di un'opera. Il non donarne
un respiro ampio.
Ed è un difetto davvero odioso
ed ostacolante, dato che trasforma un disco dalle intuizioni interessanti, e
dai richiami sonori notevoli - su tutti i The War on Drugs, ed una strana
miscellanea tra la discografia di Battiato e le tendenze recenti nell'autorato
indie italiano - nell'ennesima lezioncina morale dell'artista di turno.
La solita, dal consueto
pulpito, che distoglie dallo smuovere le coscienze per davvero, dal mostrare
uno sguardo distaccato, tale da rendere sfocata una fotografia del nostro
presente. Una fotografia limitante sin dai riferimenti. L'indignarsi, il
"non possiamo andare avanti così", il "qui vivono solo
imbecilli".
Punti di vista strettamente, ed
autoreferenzialmente, generazionali, come se l'Italia fosse zeppa di coloro che
leggono Bob Brezny nelle pagine dell'oroscopo di Internazionale, oppure usano Skype per comunicare.
Come Jep nella sua intervista,
che in una realtà parallela - tuttavia immaginaria - Flaiano avrebbe mediato
con ironia e rispetto verso il risibile altrui, donandone universalità. Quella
tipica di coloro che si elevano a giudici del cielo e della terra, senza
approfondire e cogliere nella vera essenza il costume e le sfumature
tragicomiche della nostra generazione.
Le stesse che andrebbero
colte, senza elenchi o riferimenti personali, in un ego davvero ripulito dal
narcisismo e da un odioso percorso di presupposti e visioni prevedibili.
Affascinanti e spiazzanti quanto un editoriale di Giulia Innocenzi.
Stucchevoli.
Voto: ◆◆◇◇◇
Label: 42 Records
0 comments:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.