mercoledì 8 aprile 2015

Colapesce - Egomostro (Recensione)

In una delle scene principali, e più famose, de "La Grande Bellezza" di Paolo Sorrentino, Jep Gambardella, il personaggio principale del film, rivolge una domanda ad una giovane performer.
In modo indisponente ed irriverente, chiede all'artista in questione cosa sia una vibrazione, dopo un'infinita sfilza di analisi e descrizioni sul proprio progetto artistico.
La ragazza non risponde, e va in crisi alle domande insistenti di Jep. In quella scena, coesistono due sentimenti predominanti, nel protagonista: la noia ed un profondo narcisismo. Quello tipico delle persone disilluse, ma consapevoli di essere portatori di un animo diverso, distinto. Indefinito, come la vibrazione di cui sopra. Sostanzialmente, un circolo vizioso di vanità.
Il secondo album di Colapesce, Egomostro, rievoca le medesime sensazioni, ed impressioni.
La disumanizzazione dell'homo social, le sue liturgie, e quelle gocce di giudizio sulla vuoto delle stesse.
La metafora è ben chiara, ed è palesata dalla struttura stessa dell'album, un ingresso ed un'uscita, il passaggio dalla superficie al cuore delle cose, dell'indignazione del cantautore. Nel descrivere l'ego dilagante, tratteggia il proprio, secondo una titolarità ed un'autorevolezza che non si è ben chiarita, nè capita.
Solitamente, nel cuore di un'indignazione vi è una speranza, un auspicio, o quantomeno una chiave di lettura per indagare il presente.
Gli indizi non mancano. Dall'atomizzazione individuale di "Dopo il Diluvio", alla rabbia di "L'altra Guancia", alla superficialità ed il rumore di fondo, quello dei giudizi e dell'insensibilità, di "Le Vacanze Intelligenti", fino all'anti patriottismo di "Maledetti Italiani".
Ciò che lascia perplessi, e tanto, è la nemesi di tante sofferenze, di tante disillusioni. L'emozione.
L'emozione malcelata, sopita, messa a bada. Le emozioni di un amore, di un bel paesaggio, di una meraviglia. Quello di un sentimento. Una bella donna, l'intimità di "Sottocoperta". L'immancabile "riscoprire la bellezza", che chiude l'album.

Come in uno scrigno da aprire, da rovistare, all'interno del quale è inserita la nostra quotidianità.
Ed insistentemente, un monito. Il dover smettere di essere presi da noi stessi, dalle nostre frustrazioni, dalle nostre illusioni. Riscoprire l'empatia, l'emozione, il sentire semplice. E' questo il nucleo, la narrazione umana, delineata dal cantautore siciliano. Bene. Tuttavia, appare particolarmente miope, in fondo banale. Pretestuoso. Come tutti i ritratti impietosi, scritti dalle cosiddette penne candide.
La verità è però un'altra, e manifesta il più grande limite di Lorenzo Urciullo: la scarsa ironia ed il prendersi troppo sul serio, il caricare troppo la propria moralità le liriche dei suoi lavori. E sbatterla per intero all'interno di un'opera. Il non donarne un respiro ampio.
Ed è un difetto davvero odioso ed ostacolante, dato che trasforma un disco dalle intuizioni interessanti, e dai richiami sonori notevoli - su tutti i The War on Drugs, ed una strana miscellanea tra la discografia di Battiato e le tendenze recenti nell'autorato indie italiano - nell'ennesima lezioncina morale dell'artista di turno.
La solita, dal consueto pulpito, che distoglie dallo smuovere le coscienze per davvero, dal mostrare uno sguardo distaccato, tale da rendere sfocata una fotografia del nostro presente. Una fotografia limitante sin dai riferimenti. L'indignarsi, il "non possiamo andare avanti così", il "qui vivono solo imbecilli".
Punti di vista strettamente, ed autoreferenzialmente, generazionali, come se l'Italia fosse zeppa di coloro che leggono Bob Brezny nelle pagine dell'oroscopo di Internazionale, oppure usano Skype per comunicare.
Come Jep nella sua intervista, che in una realtà parallela - tuttavia immaginaria - Flaiano avrebbe mediato con ironia e rispetto verso il risibile altrui, donandone universalità. Quella tipica di coloro che si elevano a giudici del cielo e della terra, senza approfondire e cogliere nella vera essenza il costume e le sfumature tragicomiche della nostra generazione.
Le stesse che andrebbero colte, senza elenchi o riferimenti personali, in un ego davvero ripulito dal narcisismo e da un odioso percorso di presupposti e visioni prevedibili. Affascinanti e spiazzanti quanto un editoriale di Giulia Innocenzi. Stucchevoli.

Voto: ◆◆
Label: 42 Records

0 comments:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.

Licenza Creative Commons

 
© 2011-2013 Stordisco_blog Theme Design by New WP Themes | Bloggerized by Lasantha - Premiumbloggertemplates.com | Questo blog non è una testata giornalistica Ÿ