L’ascolto di Low Song, prima traccia di After Us, mi ha riportato alla mente gli
anni in cui scoprivo lo stoner e mi immaginavo il mondo diviso fra chi,
all’interno del genere, seguiva la via desertica e granitica dei Kyuss e chi quella più tamarra ed
influenzata dallo space rock dei Monster
Magnet. La canzone in questione mi ha ricordato i secondi, ma se gli anni
intercorsi mi hanno insegnato qualcosa è che in realtà ci sono talmente tante
tonalità di grigio fra i due numi tutelari elencati sopra che ci si potrebbe
riempire un libro. Ed andando avanti nell’ascolto di questo quarto album della
band abruzzese mi accorgo che la prima impressione è decisamente sbagliata.
Basta l’oscurità che regna nella
seguente title track infatti a far capire che Wyndorf e soci non sono per
niente l’influenza preponderante all’interno di queste otto tracce, tant’è che
qui e nella seguente Comatose spuntano
fuori addirittura gli ultimi Alice In
Chains (quelli con Layne Staley s’intende), soprattutto nelle melodie
vocali. Che dire poi della chitarra placida che blandisce nelle strofe di Summer Black, strano esperimento che sa
di post punk almeno fino a che non si sfogano le distorsioni nei granitici
ritornelli? Un gran bene sicuramente, ma nulla di quanto detto finora prepara
ai momenti più lisergici.
Familiar Roads e Stage 6,
questi i due momenti del disco in cui il viaggio si fa più piacevole per chi
ama i paesaggi musicali particolarmente ariosi. Calma e placida fin quasi a
metà, la prima delle due sfodera a quel punto un andamento doom inaspettato che
accompagna l’ascoltatore fino alla fine e che, come negli episodi migliori del
genere, la fa rimanere uguale a sé stessa senza per questo stufare. La seconda,
più oscura nel suo incedere, si fa forte di una chitarra acida che nei
ritornelli è perfetto contraltare del basso cavernoso ma soffre fin troppo di
una struttura ripetitiva, “riabilitata” da un finale potente come pochi. A
fronte di tanta varietà Adrift (Yet
Alive) rischia di passare per episodio minore, con la sua energica e breve
rincorsa, ma resta un gran bel sentire e dimostra una volta di più la validità
del muro sonoro creato dalla band.
Se l’inizio era assimilabile ai
Monster Magnet a rinsaldare quella dicotomia espressa all’inizio è la
conclusiva The Leftovers: qui l’atmosfera
si fa pregna dei desertici paesaggi del Joshua
Tree, ma lungi dal’essere una semplice scopiazzatura delle atmosfere create
da Homme, Garcia e soci la canzone ha un’anima propria in cui la reiterazione
degli stessi accordi fino all’esaltante finale non si accompagna minimamente
alla parola noia, esaltata anche dall’idea assolutamente azzeccata di inserire
il sax qua e là...e ok che io per i fiati associati alle distorsioni ho una
predilezione, ma quando sono inseriti bene non si può non farlo notare.
Non conosco il resto della
produzione degli Zippo ma di sicuro After Us ha avuto il potere di incuriosirmi
al riguardo. E’ bello vedere che lo stoner continua ad essere un genere che
vive e non solo sopravvive, forte di opere come questa che riescono a dare una
continuità senza limitarsi al ricalcare le orme passate...orme impresse nella
sabbia del deserto, ovviamente.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Apocalyptic Witchcraft
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