Un amalgama saturo che risucchia
i bassi verso le orbite delle frequenze alte. La dance-wave strumentale dei
Civil Civic potrebbe essere fuggita dalle compilation glaciali che
fotografavano la scena di Sheffield in un’istantanea in bianco e nero.
L’industrial sardonico dei Cabaret Voltaire, la psichedelia artificiale e inquietante degli I’m So
Hollow, tutto il giacimento metallifero
della decadenza industriale del secolo scorso, mai arresa al declino ma rivolta
verso l’evasione del dancefloor, riaffiora come una vena in The Test,
secondo album del duo arrivato a cinque anni di distanza dall’ultimo
full-length Rules.
The Island apre le danze con uno shake gelido che sembra voler
coniare una nuova nozione di spensieratezza, virata con convinzione verso la
no-wave da dancefloor a metà del minutaggio. La tentazione di conquistare la
pista al grido di DISCO NOT DISCO irrompe in The Mirror, che si muove in bilico sul confine labilissimo tra
la Factory e l’Hacienda.
Le chitarre riverberano 80s anche in The Crush, correndo sul
manico come Robert Smith per
attraversare il centro della città che separa il party dalla periferia. The
Hunt è il patto di non belligeranza con cui Fadgadget abbandona il predominio delle macchine, per inaugurare
una nuova era ibrida segnata dalla fusione indistinguibile tra elemento
sintetico e componenti analogiche: una cascata di deflagrazioni industriali
interrotte, abortite e poi innescate di nuovo, per finire poi diluite e
scomposte in micromolecole. Il fragore è invece intenzionalmente sopito con
rintocchi liquidi di arpeggi e synth in The Lull, il cui incedere
caliginoso segue la ruota del tempo innescata da “The Box”, il terzo componente
inanimato dei Civil Civic; senza soluzione di continuità, The Shift innesca di nuovo l’ingranaggio su velocità da catena
di montaggio danzereccia, scandita da intervalli robotici inframmezzati a
impasti siderali. Regnano incontrastati synth dalla voce granulosa in The
Slide, scombinata da occasionali
stravolgimenti ritmici, rallentamenti sul cronometro, slanci inaspettati. Con
arpeggi e schiocchi di dita androidi, The Gift chiude le danze riesumando sfacciatamente
i Cure di 10.15 Saturday Night: i Civil Civic non scelgono una fuga fragorosa ma un congedo essenziale,
cesellato su chitarre squillanti e batteria asciutta. Una dichiarazione
d’intenti sul finale, a ribadire che l’essenzialità è il linguaggio di un
eterno presente, in cui l’artificiale più futuristico ha già vissuto mille
volte nel passato.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Gross Domestic Production
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