Ok, ormai è assodato, la pugliese White Zoo ha la mira buona e non sbaglia un colpo. Ci scarica addosso l'ennesimo proiettile di punk italico, facendo colare vinile nero come la pece su questa band col pepe al culo che schizza più veloce delle tavole degli Z-boys a DelMar. Gli Steaknives si muovono sull'asse Roma/Cagliari e arrivano al traguardo lungo dopo le quattro gemme dell' Ep d'esordio "We can't stand this world" (per metà contenuto in questo "Devil Inside"). Ora mettiamo in chiaro una cosa; cosa suonano gli Steaknives? Sicuramente roba tosta, senza fronzoli e piena di attitudine, essenzialmente la ricetta potrebbe essere un terzo di punk Killed By Death ben diviso tra le due sponde dell'Atlantico e un due terzi, quelli più copiosi, di hardcore punk primigenio e questa volta totalmente accasato presso lo zio Sam. Questo "mondo moderno" dimostrano ancora di non riuscire proprio a mandarlo giù e lo stato di alienazione che ne consegue, come è stato per tutta la blank generation che conta, costituisce la linfa primaria della loro musica. Giù la puntina e subito sembra di ritrovarsi nel tripudio caotico di sixpacks accartocciati e bandane della chiesa sconsacrata di Pier Ave. a Hermosa Beach, per intenderci quella dove risiedeva gran parte del gotha punk west-coast a fine 70's: quindi Alley Cats, Controllers, Middle Class ma sopratutto i Black Flag, quelli primo periodo, quelli trascinati dall'ironia abrasiva e dalla voce beffarda di Keith Morris prima del machismo rollinsiano; e proprio la band del drappo nero risulta l'ispirazione primaria degli Steaknives, la loro lezione, difatti, viene evocata più e più volte nel disco. Chitarre al fulmicotone e una sana dose di autolesionismo alimentano un circle pit selvaggio con dentro Forgotten Rebels, Zero Boys e Circle Jerks ("No Time" e "Social Game"), col cantato posseduto ed epilettico di Enrico che rimanda a certe neo-'77 bands degli anni '90 come gli Stitches ("Heartattack"), e ci racconta senza troppi giri di parole tutto il degrado della società italiana vista dall'occhio frustrato, ma al tempo stesso lucido e cinico, dell' outsider. Un orgia anti-tutto di stop'n'go, cori, rasoiate rockarolla e mid-tempos muscolari dove, da dietro la sagoma di Jack Grisham dei TSOL , si sgorgono i corpi libidinosi degli Adolescents e dei bostoniani La Peste darci dentro ("Stupid people" e "Big Money"). Non ne potete più di melensi indies finto-ritardati e delle maestrine d'arte con la reflex al collo che vi parlano di transavanguardia? Nessun problema! Il randello anfetaminico e il ritmo serrato di "Radical Shit" (titolo geniale!) spazzerà via le loro facce saccenti per sempre. La bomba al neutrone innescata dai Weirdos detona all'improvviso attraverso un drumming sempre nervoso e il ghigno radioattivo del punk minore delle serie Bloodstains ("Mess" e la titletrack), mentre l'esercizio di stile della cover "Big Takeover" dei Bad Brains è un esperimento ben riuscito. Può capitare anche che il tempo rallenti per due minuti scarsi, e scoprire che il capitano del traghetto che fà la spola tra la terra dei quattro mori e l'Urbe altro non è che il vecchio Iggy con il blue circle dei Germs disegnato sul chiodo ("Feel like a dog"). Maneggiare con cura e chiamare preventivamente un otorino, a me le orecchie ancora stanno sanguinando.
Label: White Zoo
Voto: ◆◆◆◆◆
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