Nato come duo elettronico a Torino nel 2009, il progetto PotT (acronimo per The Parasites of the Tablecloth) si arricchisce di altri tre componenti e giunge all'esordio sulla lunga distanza con To Those in the Eyes of God. Un particolare stoner, misto ad elettronica industriale e fiumi di psichedelia; nove brani più una ghost-track che riescono nell'intento di dare nuova linfa vitale ad un genere che nel continuo contaminarsi degli ultimi anni, sembrava essersi assestato su determinate rimembranze del passato. Lo spettro Maynardiano, dai Tool a In A Perfect Circle, fa spesso capolino tra il mood generale dell'opera nel susseguirsi di déjà vu più o meno referenziali. Dal fragore dell'opening “The Hollow”, alla virata elettro in dilatazione Deftones-style di “Prison of Social Comformity”, concedendo parentesi degne di Trent Reznor (“Intimacy”), la band approda al crossover in salsa psichedelica di “Sick”, quasi ad unire idealmente Placebo con In A Perfect Circle, tracciando le linee base di un'opera che, nell'affondo nel passato, riesce in ogni caso a brillar di luce propria. I PotT uniscono alla forza granitica del loro sound, una continua ricerca d'atmosfera che nelle sfumatore post acidule di “Alice” (unico brano in italiano), nello stoner esplosivo su derive dance di “The Lost Art of Pretending”, fino alla dilatata conclusione drone di “SBV”, dimostra quanto la band sia piena d'idee ben gestite. rielaborate in un lavoro che, per essere un esordio, tende già a dimostrare una certa maturità artistica.
Un ennesimo plauso alla Sinusite Records di quel giovane simpaticone di Marco Gargiulo e il suo socio Duilio Scalici che sembrano avere sempre più occhio per gli artisti da annoverare tra i loro. Bravi tutti.
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