L’Oregon della cantautrice Laura Gibson è uno stato di grazia dove pare non succedere mai niente, terra di confine tra oniricità da cartolina e strade disseminate di sassi, polvere e sguardi languidi verso l’oltre non segnato dai confini territoriali, verso un’altra vita immaginata, viva ed illuminata da folk, country e tutto il corredo di sentimentalismo della provincia, chiusa ed aperta come in un moto perpetuo di nuove aspettative che tardono sempre ad arrivare.
Come tantissime sue colleghe, la Gibson sogna, sogna e sogna ancora dentro quelle sfere trasparenti che fungono da finestra poetica di una via di fuga da tutto e tutti; col precedente Bridge Carols questa via di fuga se l’era preclusa da sola per via di una totalità musicale troppo al caramello, a prova di diabete conclamato, e forse ciò si crede che lo abbia capito tanto che in questo nuovo appuntamento discografico “La Grande” l’artista americana scansa di un poco la glassa, mette in carne un po’ della sua fragilità costitutiva, chiama qualche musicista ad ingrassare i suoni ed il gioco è fatto, un disco piacevole e passeggero che sebbene si rivolga al country-folk di genesi, rimane un appuntamento su cui perderci un bel pugno di minuti vale davvero la pena, garantito.
Dieci tracce che si dividono il compito di movimentare e contemplare animi e orgogli, interiorità femminili, parole non dette e parole sputate con giovialità, malinconia e sprazzi di sole che fanno della tracklist intera una scala d’intenzioni buone e con il sangue tranquillo; Laura Gibson è una penna cantautorale raffinata e stratificata, vive e si rivolta nelle sue elucubrazioni sofisticate come un fiumiciattolo brioso e argentino che scorre tra petto e cuore, e per recepire tutto ciò bisogna aspettare il passaggio easy di “Milk-Heavy, Pollen-Eyed”, cullarsi nel gospel gracchiante “The rushing dark”, andare a caccia d’innocenti farfalle nella ballata looner “Crow/Swallow”, saltare in una momentanea felicità Honky Tonky “The fire” o magari lasciarsi andare tra le arie latineggianti alla Carole King che spifferano leggerezza a tutto andare in”Lion/lamb”.
Pare che i fantasmi che l’artista si portava dietro come dote se ne siano andati, adesso un timido ma potente nuovo corso si fa largo, e l’Oregon che le andava stretto è solo una piccola macchia verde innanzi a ad un mondo che si è aperto, anzi, spalancato a dismisura.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: City Slang
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