Cercare un ordine nella realtà, sfiorare le categorie esistenziali ed interpretare i segni ed i linguaggi del nuovo cosmo rock è cosa di tutti i giorni, come del resto saper rinascere dalle fiamme mai spente di una precedente ossessione poetica sfumata; è questo il messaggio che i Karenina, quintetto lombardo rinato dalle ombre dei Triste Colore Rosa, incastonano nel loro esordio “Il futuro che ricordavo”, dieci tracce in un respiro di trentadue minuti che prenotano un ascolto interessante e convinto, un disco che si posta lungo la scia underground come un momento di riflessione interiore che è ben al di fuori dei consueti travolgimenti di doveri e regole.
Appunto regole non scritte, una tracklist che assorbe di tutto, pop, rock, cantautorato indie, poesia frastornante e frastornata melodia, un gioco a rialzo raffinato ed in equilibrio tra apparenza quieta e fragore atmosferico, cose sonore che non ricercano significati, ma li danno lungo l’ossessione benefica che questo registrato regala come un’infinita storia di piacere mentale e fisico; prodotto da Paolo Pischedda dei Marta Sui Tubi, il disco è un investimento sonico che secerne un’identità ben precisa che si apparenta con i solstizi sonici dei Broken Social Scene, The Sea and The Cake, le allucinazioni rock dei Tortoise e tutta la gamma infinita degli intenti messi in campo per sbalordire e attirare orecchie e sistemi uditivi più complessi, compresi cuore e cervello in una gara all’impallidamento totale delle resistenze conservatrici dei detrattori della nuova musica.
Rabbia, amore e terre di mezzo portano queste tracce a diventare incontri ed attraversamenti d’anime e bramosie infinite, ballate e fiamme, pause ed intimismi che s’inseguono come pollini in avanscoperta di nuovi sentori, esplosioni armoniche e arte allo stato puro che si eccitano e completano nei giri arpeggiati di “Chiara lavora in politica”, nei ticchettii caracollanti e guasconi de “Le macchine da scrivere”, nello shuffle distorto della titletrack o nella rotondità liquida che si fa bolla poppyes tra le luminescenze di “Soffiaci sopra”, tutte sensazioni che i Karenina snocciolano come formidabili hooks sui quali lasciarsi andare è quasi obbligo acquisito: un Moltheni si affaccia in “Tutto il freddo” come un Benvegnù apre la porta di “Colore”, poi la grazia volatile de “Gli anni di piombo” da la botta in testa finale, il rilascio essenziale di una piccola opera underground concepita proprio per chi ha voglia di estraniarsi e inalare qualcosa di diverso dal seriale.
Karenina, poesia e watt a presa rapida certificati.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: My Place Records
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