Otto acquerelli personalissimi ed evocativi insieme, sorretti da arrangiamenti - curati da Marcello Malatesta - di ispirazione jazzy con puntate in direzione del folk raffinato à la Nick Drake e Matthew Jay, calibrati con sobrietà in funzione della voce. La quale splendida voce, per inciso, basterebbe di per sé a giustificare l'esistenza stessa dell'intero lavoro: fluida, nitida, ricca di possibilità mai ostentate.
Il canto di Sandra Ippoliti e i testi delle sue canzoni possiedono l'eleganza domestica di un gatto che si lecca il pelo davanti al caminetto, e rende prezioso un gesto tanto elementare e triviale con la grazia del rito. L'abbandono, leitmotiv tradizionalissimo che percorre l'intero album, è interpretato attraverso i toni della compostezza più intima, pudica e credibile. Nulla di sguaiato, di innecessariamente espressionista, nessuna frase a effetto; è tutto intensamente e dignitosamente femminile, avulso da pianti isterici, capelli strappati o puttaneggiamenti di sorta.
Attesa di te, la traccia di apertura, introduce gradualmente alla tematica principale attraverso un divertissement che a poco a poco scivola nell'inquietudine. «Tic tac, tic tac.../ Tempo, passa!», invoca Sandra, accompagnandosi con la chitarra cantilenante e ipnotica che, come il pendolo di un orologio, conta uno a uno i secondi brevi e infiniti che la separano da lui – che non arriverà mai: «… e non torni più tu,/ attesa, attesa... di te».
Più avanti, Le blues tratteggia efficacemente il mood dominante l'intero lavoro, con l'incedere strascicato di contrabbasso e batteria, e il fischiettare laconico da pantofole, capello arruffato, maglione XXL e borse sotto gli occhi: «Tema preferito, la tua assenza. /Avrei preferito amarti piuttosto che abbandonarti». L'amore vacante che stropiccia, maltratta, aliena da se stessi e dal mondo tutto: «Cammino, rasento la follia,/ non so più dove andare,/ mi sento così sola,/ mi sento lontana da ogni cosa/ e tu non ci sei». La voce di Sandra resta in alto, tuttavia. Non le appartengono i registri dello struggimento e del patetismo facile, qui come altrove, fino alla chiusura di Suonare, uno dei brani dalle sfumature maggiormente jazzistiche del lavoro, che nel titolo chiosa l'unica cura – l'unico palliativo? - possibile all'ossessione e alla disperazione del vuoto: «Prende il sopravvento/ solo quella mania che ti relega qui./ Cancellare ogni sogno e poi/ che fare?/ Non sono niente/ se non mi dai te».
Esordio luminoso, il disco ha visto la pubblicazione soltanto a distanza di tre anni dal suo completamento. L'impressione è che la stessa Sandra Ippoliti non sia del tutto consapevole del suo potenziale; il che non è un male assoluto.
Voto: ◆◆◆◆◇
Autoproduzione
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