Di uniforme, l’ultimo lavoro solista di Paolo Iocca (Franklin Delano e Blake/e/e) qui nelle vesti del progetto Boxeur The Coeur, ha forse l’espresso riferimento alle tonalità avant electro freak. November Uniform si risolve nell’essere una sorprendente miscellanea di melodie che in qualche modo – con lo stesso straniamento che si prova nel mentre di un fortissimo deja vu – riescono a svegliare le nostre sinapsi e ricordarci qualche motivetto, vecchio, nuovo (Stormily Reassuring suona benissimo come prodotto avanzato di Byrne e soci). Anche futuro, si.
C’è altro di mezzo. C’è l’estro creativo di chi tocca l’inconscio
per farne assaporare frammenti di lucidità dai bordi evanescenti quanto
ologrammi. Passati vortici sincopati elettronici dell’intro-track Forewords, si
viene catapultati nella corale e scanzonata Our Glowing Days, una
rielaborazione degli Arcade Fire (nella sintesi di We Used To Wait con i giri
di Sprawl II , per la precisione). Immediatamente dopo, si è tra i New Order e
i DEVO (o qualsiasi altro tipo di elettronica 80s e magari germanicamente roboante) con Essay On Holography; si va avanti e dentro un pezzo della Alguire ne Low
Tide Lost At Sea, un puro concentrato di ambient e dream pop, un intermezzo
strumentale tra i primi 5 pezzi ed il resto del mondo di Novembre Uniform.
Un album che si muove e cresce come una sorgente di pura ‘musica’,
famelica e tortuosa, fatta di suoni armoniosamente incastrati fra di loro che
di veri e proprie strutture musicali. Quella di Boxeur The Coeur è una
costruzione che si srotola nell’orecchio dell’ascoltatore come filamenti
proteici di DNA, nello spazio minuscolo e infinito di una cellula. E’ un gioco
di tonalità e riverberi che suona alla coscienza, al nostro Es più censurato
come un simpatico gioco di parole che sa di primordiale. Un po’ come sciogliersi
in bocca il nome stesso, del resto. Immortal
Bliss è una perla rara di dolcezza e sensualità, tinta da atmosfere Air (esattamente, quelle della soundtrack di The Virgin Suicide), sfocate quanto un
filtro Lomo per Instagram e che si chiude dopo 7 minuti e più in un joyciano
stream of consciousness. A Minimal Anthem è una corsa contro il tempo che
riduce al minimo la possibilità di darsi parole a cui inneggiare. Ogni pezzo si
tinge e trasmuta in un’esperienza extrasensoriale, esattamente come un paziente
eterizzato su di un tavolo operatorio, a metà fra sonno e coscienza. E in fin
dei conti, va bene così. A metà fra tutto e nulla, rimandi ed epifanie che
sopraggiungono solo all’ultimo, per poi fermarsi nel vuoto, e ricominciare in
un altro pezzo.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Trovarobato
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