“Sbalordire i borghesi” questa è la missione degli épater le bourgeois, band hardcore della provincia meccanica infastidita e rabbiosa che se fossi un borghese me la darei a gambe, invece di rimanere attonito per la via. Questi tre fanno sul serio e abbandonano ogni tentazione di affrontare l’antagonismo sociale con ironia e leggerezza, mettendo in primo piano il disgusto e la disperazione, la noia, la paranoia: il punk hardcore. Gli ELP alzano barricate sonore di vecchie Stratocaster geneticamente modificate e in prima linea nel respingere la semplicità tout court del genere, fortificate da minimali martellate di basso mentre la batteria picchia furiosa a velocità sovraumane. Gli épater le bourgeois sono i Negazione affetti da epilessia Black Flag che coverizzano i Nabat di Skin&Punk trio di irritanti proletari iperattivi duri e puri, animati da quello straight edge necessario alla sottocultura hardcore per salvarsi le penne dagli eccessi dell’alcool e dell’eroina.
La frustrazione e l’antieroismo tipici della working class sono le maglie di una catena contundente che unisce il trash metal degli Slayer al punk hardcore degli Epater le bourgeois: le velocità quasi cacofoniche dei brani e i lamenti dei testi arrivano dagli stessi quartieri; il loro malessere può rivolgersi alla provincia americana come alle profondamente vuote e ripetitive cittadine italiane. “Ancora”, prima traccia dell’ep, sminuzza i timpani con rumori da segheria mentre basso e rullante vengono percossi senza tregua dai due riottosi musicisti e la voce maciulla i versi in un’atmosfera soffocante: “nei tuoi occhi non vedo più luce/sulle tue labbra mute parole” e nichilismo fu. Il primo solo di chitarra del disco arriva alla quarta traccia e porta in primo piano le turbe metalliche del suonatore di Strato, metalmeccanico certosino e degno di una comparsata con motosega in mano in “Non aprite quella porta”. “Lacera nei gesti” è il brano più articolato, ti inchioda all’ascolto dopo un intro in cui i tre arnesi supersonici evocano della melodia, assente giustificata di questi diciassette minuti d’opera prima.
La provincia per gli Epater diviene lo scenario ideale per raccontare la disperazione e la rabbia; la loro non appartenenza all’universo sottoproletario del ghetto è parte imprescindibile della loro granitica identità. Il ghetto è la forza ma anche il limite di un album capace di dar fastidio, per le urla, per la sete di libertà e la voglia di lottare ma anche per l’orizzonte claustrofobico della provincia e la ripetitività delle tematiche affrontate. Ne riusciranno ad uscire? Nel frattempo godiamoci quei suoni di chitarra netti e puntiti come un seghetto circolare sul metallo, la batteria a ciclo continuo e quelle urla, necessarie, mentre le mani cercano di sradicare le sbarre.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Autoproduzione
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