Dopo due anni non è stato difficile scendere dal trenino per uno scout che riesce a fotografare alla perfezione tutto ciò che ha intorno, tutto che ciò ha dentro (anche con lo zampino di Gabriele Spadini, in questo caso). Cosi da solista, con un viaggio iniziato con “Attento a me stesso”, Alessandro Fiori decide di fermarsi in “Questo Dolce Museo”, immaginifico luogo per ascoltare quanto la realtà riesce ad offrire.
Undici tracce accomunate da una dolce melodia, che ci inducono ad immaginare testi intrisi di delicate parole, dolci poesie a cui Fiori ci ha abituato, ma la realtà è anche un’altra.
E' un intrecciarsi di intime esperienze che l’aretino riesce a sviluppare in modo preciso e riflessivo, è un museo in cui ci capita di osservare opere di certo valore. A lui il compito di raccogliere le più apprezzabili e di fermarle su musica.
Ci si sveglia cosi all’alba con “Scusami”, per vedere ciò che per alcuni potrebbe essere l’amara delusione che ci si presenta al risveglio, la luce che ci riporta immediatamente alla quotidianità, che di sognante ha ben poco, se non la dolce sviolinata che accompagna questi minuti iniziali.
Di sicuro la domenica che segue deve essere una fredda “Giornata d’inverno”, una di quelle che Fiori ricorda alla perfezione, con non poca nostalgia, altra certezza dell’album. Un ricordo che chitarra alla mano il cantautore fotografa cosi bene da rendere visibile l’immagine ad ognuno di noi, che almeno una volta nella vita è entrato nel lettone per farsi proteggere dal freddo e dalla maturità che incede.
E forse la voglia di farsi avvolgere è la stessa che troviamo in “Coprimi”, tintinnante ninna nanna, candida richiesta di uomo ancora fanciullo, o di un fanciullo già uomo, che cerca con estrema dolcezza protezione per ciò che sa già dovrà vivere.
Arriva poi “Il vento” con le sue dispettose ventate, visibile almeno quanto i ricordi che incarna con maestria, quasi souvenir di posti o sogni in cui non siamo mai stati o da cui scappiamo, accompagnati da violino, synth e batteria a rendere la fuga veloce quanto piacevole.
Si scappa cosi dall’infanzia per raggiungere rapporti maturi ben più complessi, in “Il gusto di dormire in diagonale” e “Mi hai amato soltanto” si intravede infatti la voglia di cancellare dimensioni interiori ormai scadute e forse finite.
Ma scaduti non sono invece i sentimenti che Fiori canta all’amico scomparso, a cui dedica non solo la decima traccia “Sandro Neri”, ma l’intero album che si conclude con il pianto di una bambina, forse sua figlia, nell’intro di “Tigre in strada”, quasi a marcare la certezza del circolo della vita.
Ed è alla fine, con le ultime tracce, che ognuno si renderà conto di avere tra le mani un album diverso, qualcosa che ognuno sentirà alla sua maniera; colti da una disorientante malinconia e paura di essersi persi in un dolce museo, in “Questo dolce museo”. Ma dubito che alcuno si allarmi per cercare la via d’uscita.
Voto: ◆◆◆◆◆
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