Con Como ho sempre avuto un rapporto particolare, un rapporto vivo, sebbene in rari casi siamo arrivati a trovarci l'uno al cospetto dell'altra. Ci siamo idealmente sfiorati quando a metà degli anni settanta una giovane coppia d'istanza nella città lacustre decideva di spostarsi altrove per mettere su famiglia, ci siamo rincontrati quando il giro di amicizie è piacevolmente arrivato a toccare i limiti della periferia comasca e ancor più quando il mio stereo di giovane sbarbo, sebbene fosse distante decine e decine di chilometri dalle acque lariane, suonava a tutto volume Atarassia Gröp, The Leeches e Succo Marcio. La Como musicale, quella che negli anni mi ero idealmente costruito nella testa, era una piccola roccaforte settentrionale del punk-rock, calligraficamente e poeticamente kappa-centrica, animata da kreste, kiodi borkati e "A" cerkiate. Con il passare degli anni ho avuto modo di aggiustare il mio punto di vista scoprendo che la scena musicale lacustre, forse contagiata dall'aria buona proveniente dal vicino varesotto (casa della monolitica Ghost Records), aveva anche altro da offrire, soprattutto in campo indie-rock. A spiccare tra le giovani promesse erano quattro poco-più-che-ragazzini dall'aria brit che in pochi anni, a suon di concorsi vinti, erano riusciti a confezionare un gioiellino indie-rock come The Season We Met. A due anni di distanza riecco i Lactis Fever, splendenti, sinceri, liberi dalle ingombranti influenze stilistiche del passato, con in mano il disco che pare davvero essere quello della maturazione.
Un artwork semplice, dalla composizione lineare, che ben rispecchia l'anima del disco, nove tracce orecchiabili, orgogliosamente pop che si distaccano dall'urgenza adolescenziale dell'esordio senza trascurare però emotività ed energia, presentandole questa volta in un quadro più ordinato, adulto, consapevole.
Certo, nulla di nuovo o rivoluzionario, ma in un periodo storico in cui il manierismo ruffiano, quello fatto con leggerezza e senza un briciolo di orecchio per il buon gusto, sembra essere al centro della scena, un disco come questo fa tirare un bel sospiro di sollievo. Le linee vocali qua e là ricordano gli ultimi The All-American Rejects senza perdere però di personalità (Shadows, Oh Lord), i coretti compatti sono degni del miglior Billy Joel d'annata (il ritornello di So High richiama un paragone obbligato con la Joeliana Uptown Girl) e la progressione finale di Tomorrow sembra voler apertamente svelare l'identità del co-produttore artistico, lo stesso Matteo Cantaluppi già dietro al mixer con i Canadians di A Sky With No Stars. Ma poche ciance, i richiami non fanno testo quanto a fare da protagonista e da filo conduttore al disco c'è un'evidente freschezza e sincerità di intenti, come dimostra The Sun Is Shining, singolo scelto per il lancio dell'album e prototipo della pop-hit di cui le classifiche attuali avrebbero più che mai bisogno.
Anni fa non avrei mai pensato che nella mia personale proiezione di "Como città punk" un giorno si potesse affacciare un piccolo stralcio di pop, parola che al tempo suonava come la peggiore delle bestemmie e che oggi, almeno in questo caso, ha il sapore di una piacevole scoperta. Como, qualitativamente, non ha deluso nemmeno questa volta.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Autoproduzione
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