Scorrendo le biografie e scovando
cognomi inequivocabilmente esotici, la mia infaticabile attitudine all’indagine
inutile non ha esitato a stabilire un legame d’origine tra i The Men e la più
nota cricca di italo-americani partorita dal generoso grembo di Brooklyn, il
combo di doo-wop bianco Dion & the Belmonts, capeggiati dall’imperituro
Dion DiMucci. E le prime note di New Moon mi inducono a sospettare che i nostri
cugini d’America siano accomunati da una predilezione singolare per le armonie
vocali catchy e agrodolci, cesellate con
noncuranza e senza disdegnare una moderata dose di autocompiacimento.
New Moon, però, è un’opera che
ambisce ad uscire dall’isola dopo aver mosso i suoi primi, ingenui passi:
l’elemento maudit newyorkese viene
dissolto da una tensione all’apertura campestre, alla contemplazione rapita di
crepuscoli polverosi che si dileguano oltre l’orizzonte inarrivabile.
L’incalzare country‘n’roll di "Half Angel Half Light" sposta le coordinate del
viaggio verso territori impervi, tramutando l’indolente strolling da marciapiede in una corsa implacabile arrostita
dal sole della prateria. Il ritmo costante viene deliberatamente slabbrato in
improvvisi fragori disorganici, scombinati da un’eclatante disperazione in "Without
A Face", trascinata dal richiamo selvaggio e furibondo dell’armonica. Abbiamo
varcato i pericolosi confini della riserva Gun Club, abbandonando però in
territorio neutrale la desolazione esistenziale di Jeffrey Lee Pierce.
Tentazioni melodiche e chitarre allo sciroppo d’acero isolano spazi di quiete
in cui la tensione è sospesa in una tregua improvvisa: il tex è separato risolutamente dal mex, capovolgendo la minacciosità voodoo in esasperazione emotiva. "I Saw Her Face" è
paradigmatico archetipo della struttura compositiva ondivaga, che sorregge
l’intero lavoro, e dei saliscendi dinamici in cui il frastuono più saturo si
alterna a un sottosuolo di fruscii stropicciati.
Lo skyline newyorkese si profila
come destinazione di ritorno, in prossimità dell’epilogo del viaggio, nella
frenetica, sgangherata e infaticabile accelerata di "Electric". Ma la tabella di
marcia concede ancora tempo per indugiare in terre aride e impervie con il
vortice sconquassato di "I see no one" e il pop scomposto di "Freaky", prima di
venire definitivamente risucchiati nel ventre della metropoli: la
claustrofobica allucinazione di "Supermoon" scaraventa in un labirinto
chitarristico di ossessione lancinante, che annienta il peregrinare compiuto
confondendo l’orizzonte, per piombare incombente e chiudersi infine come un
sarcofago.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Sacred Bones
2 comments:
nulla di nuovo all'orizzonte;..dopo vari ascolti posso dire....una gran cafonata come al solito "molto rumore per nulla" I Gun Club...non si dovrebbero neanche nominare.
i gun club si nominano eccome se il suono a cui una band tenta di avvicinarsi è analogo a quello dei gun club. nessuno ha detto che il risultato siano i gun club, che io adoro. angie
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.