giovedì 2 maggio 2013

Sadside Project – Winter Whales War (Recensione)

Mi sono imbattuta nei Sadside Project oltre un anno fa, trascinata a un concerto in cui la presenza di Roberta Sammarelli dei Verdena veniva spacciata come unica attrattiva. Ma, sebbene la folla postadolescenziale rivolgesse tutta la propria devozione alla più nota bassista, il garage-blues insieme robusto e sognante del duo romano si era saputo imporre alle mie ciniche orecchie come sorprendentemente convincente.

Mi aggrego quindi senza esitazione alla ciurma scomposta pronta a salpare nel nuovo lavoro Winter Whales War, assoldando tra i vari compari occasionali la stessa Sammarelli, Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion, Alberto Mariotti e Wassilij Kropotkin dei King of the Opera. Solcando distanze atlantiche a vele spiegate, seguono la rotta di un blue-eyed & b scomposto e chiassoso, approdando a più inconsueti lidi con un folk agrodolce, pervaso da nervature di psichedelia discreta e mai ridondante.

L’arrembaggio inizia spavaldo con il fragore indolente di "Same Old Story", che espone da subito caparbia la fisionomia sonora di questo turbolento e frastornato diario di bordo: la dolcezza impolverata del cantato è incastonata e quasi occlusa tra il volitivo e risoluto pestare della batteria e il compatto clangore chitarristico. Ma la corrente si placa all’istante e si veleggia placidi sospinti dalla brezza di "My Favorite Color", che soffia sospesa tra noncuranza dylaniana e sgangherato incalzare da bettola sudicia; il piglio ritmico si dissolve nel nostalgico doo-wop di "1959 (The Last Prom)", inatteso affresco teen, perfetto per smarrirsi in interminabili baci sulla porta di casa.

La navigazione accelera appena nel blues rurale e melanconico di "This Halloween Is Over", che deraglia in un vociare di marinai sbronzi, preludio all’energico blocco centrale: dall’irresistibile, delirante garage di "Edward Teach Also Known As Blackbird", costeggiando approdi segnati da un sordido colare notturno "(Nothing To Lose Blues)" o da sbilenche esaltazioni contaminate da malcelata inerzia "(Hold Fast)", sino a raggiungere l’attracco confortevole del singolo "Molly", evanescente serenata increspata di sature distorsioni.
Il porto di destinazione è edificato tra il bizzarro e trasognato folk dell’acustica "Sloop John B", che trasforma l’originaria, sfavillante spiaggia dei Beach Boys in un litorale solitario, e il cullare della conclusiva title-track: l’evidenza dell’arpeggio, che traccia intrecci secondo la lezione di Nick Drake, è la lira ininterrotta che guida la monodia recitativa nel disperdere i versi di Walt Whitman, donati come eco ininterrotta al lontano canto di sirene che replica in lontananza.

Voto: ◆◆◆◇◇
Bomba Dischi/Audioglobe/Rough Trade

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