Con questo “Il Banco Piange” il medagliere
discografico della formazione bresciana degli L’Invasione Degli Omini Verdi, sale a sei dischi e in contemporanea
quei pochi minuti di tranquillità se ne vanno a farsi fottere depredati da
quella micidiale formula di punk-core melodico che li vede sempre in prima
linea, in barricata, davanti alla costumanze della sporca società e dietro a
distorsori e ampli in fiamme e fuoco, arroventati da questa bella
“esagerazione” sonora che fa pogare e scattare quanto un cortocircuito
imprevisto.
Un disco di tremende
sfumature riflessive, aggressivo dalla parte del giusto e dolciastro come una
carezza contro pelle, quindici tracce dove punk metallurgico e avvisaglie
sociali si guardano in cagnesco, chitarre fuzzate e una poetica senza peli
sulla lingua fanno il gioco importante della tracklist, una fortissima
componente elettrica che passa e
stravolge pensieri e certi ideali sbiaditi, musica – per usare un tratteggio
letterale – per organi bollenti e sangue avvelenato che si fa giustizia a suon
di pedaliere e col cuore gonfio, spappolatamente gonfio di vendetta dal
basso. Sono ben tre anni che la band
manca dalle scene “virtuali” dell’ascolto, ma in pochi giri si rifà di tutto il
tempo perduto, si riprende immediatamente con un corsa frenetica e “rebel” e
questo disco non fa altro che riconquistare il podio che gli spetta e che – ma
lo non lo è mai stato – messo in discussione da nessuno in quanto LDOM sono una
garanzia di verità di watt e una stratosferica “botta de vita” senza uguali.
Disco velocissimo, con
fragranze mid-stoner come caratteristiche a lato e una strafottente verve che
azzanna violenze, il soldo facile o quello che latita, la sporcizia del pianeta
su cui viviamo e tutto quello che fa quadrato imbecille sul bel rotondo della
nostra Terra, insomma un disco che non le
manda a dire e che riporta integralmente la personalità di questi musicisti
d’arrembaggio che ribadiscono una qualità stupenda e coerentemente totale del
loro stile umano e artistico; fiatoni inverosimili con “Il bene comune”, “Hai
ragione”, “Rivoluzione”, “Solo follia”, sudori a dispersione industriale
“L’ultima cavia”, un momento di respiro raffinato “Nato morto” e un pugno di
sabbia stoner addolcita che “La nuova aurora” lancia contro gli occhi di chi
vuole sempre e con arroganza gestire e giostrare la libertà degli altri.
Davvero un Welcome per
questa corazzata distorta che torna per scombussolare le acque stagne
dell’underground, per questi “alieni” che finalmente arrivano per re-invadere questa piatta e
sconclusionata vita parruccona e ipocrita. Fuoco a mille!
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: IndieBox Music
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