Piccolo riassunto delle puntate precedenti: in una galassia lontana lontana, per la precisione la zona intorno al Joshua Tree Park, quattro ragazzotti di belle speranze cominciano a far musica assieme e diventano, a detta dei più (e mi ci metto anche io), i veri creatori dello stoner con il nome Kyuss. Che fra l'altro dimostra come anche i fans di Dungeons And Dragons possano fare cose fighe e non essere solo degli insignificanti nerd. La band cambia componenti, sforna almeno un paio di album che diventano pietre miliari e si sciolgono definitivamente frammentandosi in miriadi di altri progetti. Uno di loro, il cantante John Garcia, in pausa di riflessione agli onesti mestieranti Hermano decide di fare un salto nel passato reclutando un po' di gente e andandosene in giro a cantare i vecchi tempi col moniker Garcia Plays Kyuss (e dire che dal vivo con gli Hermano non voleva fare Green Machine facendo chiari segni di non essere più capace vocalmente, menzognero di un desert-rocker), e la cosa funziona. I vecchi compagni d'avventura Brant Bjork e Nick Oliveri, che non hanno molto di meglio da fare, decidono di unirsi al carrozzone e cercano di convincere anche il chitarrista Josh Homme, che però è l'unico che si è fatto i soldi veri e preferisce continuare coi suoi Queens Of The Stone Age, dando però il beneplacito all'operazione. Nasce Kyuss Lives, grazie anche al misconosciuto ma efficace chitarrista belga Bruno Fevery, ed è ancora successo: figurati, in un periodo di revival di qualunque band, se non funziona la reunion di ¾ dei capostipiti del desert rock. Ma Garcia e soci si fanno prendere la mano, cominciano a pensare ad un album di inediti, e tolgono il “Lives” dal nome. Apriti cielo, Homme fa la primadonna e li denuncia per uso improprio del “brand”, Garcia e Bjork (il batterista, non la cantante islandese) controdenunciano, Oliveri sta nel mezzo a farsi i fatti propri, ma alla fine assieme agli altri per evitare cazzi e mazzi e per non scontrarsi con l'ego iperbolico del deus ex machina dei Qotsa a vita decide che è meglio cambiare il nome in Vista Chino (anche se il suo ruolo di Nick rimane poco chiaro, tant'è che dal vivo pare suoni Mike Dean dei Corrosion Of Conformity). Ecco come, in una ventina d'anni circa, si è arrivati a questo Peace.
E dopo tante cazzate che già
quasi sicuramente conoscevate eccoci a rispondere al quesito che vi
facevate fin dalle prime righe: ce la fanno ancora? Senza la chitarra
e la mente di Homme? La risposta è nì.
“Dargona Dragona” primo
singolo e anticipazione furba del nuovo album è una pubblicità
assolutamente ottima per i Vista Chino. Stoner vecchia maniera, la
canzone con cui si apre l'album (dopo il breve ed inutile preambolo
“Good Morning Wasteland”) suona come se ...And The Circus Leaves
Town fosse stato registrato l'altroieri e non ben 16 anni fa,
alternando momenti di potenza sonora ad aperture più psichedeliche
in cui la chitarra di Fevery fa un figurone (il ragazzo il sound se
l'è studiato a puntino, niente da dire). Tutto Peace sembra essere
fondamentalmente il seguito ideale di quell'ultimo album dei Kyuss,
cosa strana visto che di quel periodo l'unico superstite è Garcia,
ma questo non è esattamente un punto a favore del disco: se infatti
la psichedelia malata di “Planets 1&2” soddisfa il palato e
una “Barcelonian” a caso mostra idee e grinta decisamente
interessanti il resto dell'album si attesta su di un livello buono ma
un po' asettico. Diciamocelo, le ultime cose uscite dal trio delle
meraviglie nelle rispettive carriere sono state abbastanza deludenti,
e quella mancanza di idee si rispecchia in pezzi che resuscitano sì
il sound delle origini ma non quelle folgorazioni sonore che anche
nel canto del cigno avevano portato a brani come "Spaceship Landing", "El Rodeo" e "Phototropic". “Sweet Remain” punta ad un approccio
diretto ma con poche idee che ricordano più gli Hermano, “As You
Wish” si trascina per 5 minuti senza dare mai l'impressione di
riuscire ad evocare la potenza che vorrebbe esprimere, la stessa
conclusione con “Acidize...The Gambling Moose” è uno stanco
tentativo di rievocare lo spirito delle vecchie suite psichedeliche
ma le idee che vi sono contenute non giustificano i 13 minuti di
durata, piagati anche da un cambio di registro improvviso e poco
amalgamato col resto a metà pezzo. Onesti mestieranti con qualche
guizzo qua e là insomma, come la piccola perla “Mas Vino” (unico
brano griffato Oliveri anche nella stesura), che nel suo minuto e
mezzo di durata riesce a trasportare l'ascoltatore di nuovo nel
deserto cullato dal basso e da una chitarra grezza e melliflua.
I Kyuss sono morti, evviva i Vista Chino! Peace non è un capolavoro, ma qualcuno si attendeva qualcosa di diverso? Garcia, Oliveri, Bjork e Fevery vanno avanti per la loro strada, e se non altro non sono caduti nella trappola della semplice riproposizione alla copia-incolla: ognuno di loro ha avuto una carriera lunga e, chi più chi meno, variegata, e qualcosa di quel che hanno fatto lungo la via è finito qua e là a colorire di nuove sfumature una base comune che rimane forte (e non poteva essere altrimenti). Dopo così tanto tempo passato a fare musica però hanno meno da dire e meno energia per farlo, e anche questo si sente: speriamo che almeno dal vivo confermino le buone impressioni lasciate dopo le loro ultime discese italiche, chè io a novembre i miei soldi per vedere questi vecchi paladini del deserto ce li butto volentieri.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Napalm Records
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