Non è un disco normale Il De'
Blues dei Vonneumann, né un disco per tutti. E' difficile
descriverlo, quindi in mancanza di punti d'appoggio farò del mio
meglio per rendere le cose ancora più incasinate. Vi racconterò una
storia in musica, che nulla c'azzecca ma che sulle note di questi
sette pezzi potrebbe benissimo essere narrata.
Scorrono i titoli di testa, su una
musica vagamente jazzata che scorre flessuosa come gli accordi del
piano e le note del basso: batteria e fiati non ci stanno, e mentre
le immagini in bianco e nero mostrano il traffico di abitanti ed auto
di una grossa città, giustificando la schizofrenia degli strumenti,
una mano fa capolino dal lato dello schermo. Una lettera stretta fra
le dita, una porta che si apre, la calma regna sovrana nella penombra
del club in cui una figura dimessa beve da sola: prende la lettera,
la apre mentre stringe fra le labbra una sigaretta, solo dei rumori
di sottofondo disturbano il momento. La ripone e si alza, e mentre si
allontana dal bancone la chitarra si fa sempre più invasiva finchè
il ritmo non si impenna per fermarsi subito dopo. L'uomo è uscito
dal locale (“Pensiero Di Katioks”).
Accordi secchi di chitarra e tempi
dispari. E' tempo di passare all'azione. L'uomo ha un incarico, e
bisogna trovare chi ha le informazioni che cerca. Lo seguiamo da
vicino mentre cammina per vicoli sporchi e popolati da feccia di ogni
tipo, inquieti (noi, non lui) come la musica che lo accompagna,
finchè non entra in una lavanderia a gettoni. Fila subito sul retro,
fra le inutili proteste di un asiatico: non è lui che cerca, non è
lui che può dargli le risposte. I quattro uomini nell'ufficio sul
retro forse sì, e per poco gli occhi si incrociano sull'apparente
calma creata da vagheggiamenti batteristici e inserti elettronici.
Uno fa una mossa sbagliata e l'uomo lo rimette al suo posto in men
che non si dica, un polso che si torce in maniera dolorosa mentre la
sua bocca si muove per chiedere ciò che gli serve: ottiene le sue
risposte, l'esplosione di violenza che c'aspettavamo è stata meno
traumatica di quanto quel polso girato, accompagnato nuovamente dal
giro di chitarra acido sempre uguale e sempre diverso da sé stesso,
lasciasse presagire. Fuori ha cominciato a piovere, l'uomo non ha un
ombrello ma l'impermeabile ed il cappello a tesa larga lo proteggono
quanto basta: si alza il bavero e s'incammina, una tromba triste
accompagna i suoi primi passi ma basso e chitarra tornano a farsi
cupi...come a presagire nuovi scontri (“Blackèmon”).
Penombra. Un sipario che pian
piano si alza. Un'orchestrina in un angolo suona una musica triste,
aleggia un'atmosfera di frontiera acuita dai fiati, il tutto mentre
una ballerina viene illuminata dalle luci: l'uomo la guarda dalla
prima fila, il subbuglio dei suoi pensieri non è evidenziato da
movimenti della sua faccia impassibile ma dall'improvviso scatenarsi
di fiati e batteria mentre tutto in scena resta immoto. I movimenti
di lei sono lenti e sinuosi, calmano la mente, ma la donna sa essere
tentatrice: quando inizia a scatenarsi, provocante ma non volgare, la
batteria accompagna tribalmente la sua danza senza che basso e
chitarra debbano scatenarsi in distorsioni per accentuare un
cambiamento d'atmosfera di per sé già evidente. Ma sul più bello
lei si ritrae, il sipario cala su una musica di nuovo malinconica fra
trombe, violini e arpeggi di chitarra. L'uomo si alza, guarda verso
la porta che dà accesso al retro, ma la tentazione non vince: esce
nella notte buia mentre la musica sfuma velocemente verso il
silenzio (“Un Bel Morover Per Braun”).
Una scrivania illuminata da una
piccola luce, l'uomo è chino su alcuni documenti. Bottiglia di
whisky al suo fianco, un arpeggio di chitarra scarno e ballonzolante
ad evidenziare la confusione dei suoi pensieri. I suoi ragionamenti
su questo caso hanno raggiunto una dimensione più che ansiosa?
(Cit.) Dal modo in cui sfoglia quelle carte con movimenti sempre più
nervosi sembrerebbe di sì, la verità è lì dentro da qualche parte
e forse un bicchierino aiuterà a capirci qualcosa, piccola pausa
anche per gli strumenti che si rincorrono ed intersecano nervosi. Ma
è solo un attimo, le immagini sono quasi cacofoniche nell'inquadrare
l'uomo, le carte, le mani, la bottiglia, la soluzione è
vicinavicinavicina ed arriva, un lampo improvviso dopo un crescendo
vigoroso. L'uomo chiude gli occhi un attimo, spossato, si alza per
andare a farsi una doccia e lavar via la stanchezza ed i postumi del
whisky mentre inserti elettronici liquidi ed un basso incalzante
accompagnano l'acqua che scende. L'occhio aperto e deciso dell'uomo è
l'ultima cosa che vediamo prima che la musica si tronchi
all'improvviso. Buio in sala, fine primo tempo (“Stabilo
Bimmago”).
La macchina è in movimento. Ne
seguiamo lenti gli spostamenti con un'inquadratura dall'interno
dell'abitacolo, il piano gli archi e rade note di chitarra a
delineare il flusso: è un'impressione illusoria, la batteria entra
nervosa e gli intrecci chitarristici ci portano a velocità ben
maggiore a seguire traiettorie di cui capiamo poco, paesaggi sempre
meno cittadini e sempre più spogli. Gli strumenti sembrano calmarsi
mentre vediamo in lontananza un ranch, qualche secondo prima che
l'uomo si getti con la sua macchina contro il cancello ed entri
deciso, uno scontro a fuoco con alcuni sgherri che non sembrano in
grado di poterlo impensierire...tanto che la musica tiene un incedere
non troppo potente. Ma basta un attimo a ribaltare tutto, il capo del
gruppo salta improvvisamente fuori puntando una pistola alla nuca
dell'uomo: la musica rallenta, quasi malinconica, i due uomini si
conoscono ed è un peccato che debba andare a finire così, anche se
prima della fine almeno altre risposte cominciano ad arrivare. Pian
piano che le parole aprono la mente del nostro uomo tanto più si
crea in lui la consapevolezza di poterla sfangare, lo vediamo
guardare con la coda dell'occhio l'avversario per carpirne un segnale
di distrazione, e quando arriva non esita a battagliare corpo a corpo
con lui, evitando il primo colpo di pistola. Questa è una lotta
serrata, le distorsioni amplificano la tensione e basso e batteria
incalzano fino a che uno solo dei due uomini si rialza da terra: il
nostro uomo ha un'ultima domanda, e prima di morire l'altro gli dà
la risposta. La faccia del vivo sbianca più di quella del moribondo,
la batteria si blocca su quest'immagine (“Il Tapping Che Fu”).
Una piccola villetta, un giardino
ben curato. L'uomo la osserva fumando una sigaretta, lo sguardo
dolente non è più quello tutto d'un pezzo che ci siamo abituati a
vedere, la tromba si fa carico delle sue ferite e la batteria della
confusione caotica dei suoi pensieri. Quando il basso inizia a
dettare il ritmo lui esce dalla macchina, si avvia alla porta della
casa e c'è lei ad accoglierlo: la ballerina ha addosso solo una
vestaglia, è un attimo prima che il caos degli strumenti accompagni
i primi rabbiosi baci fra i due. C'è solo un attimo di calma, quando
lei si toglie sensuale i pochi indumenti che ha addosso, poi a letto
i loro movimenti si fanno più sensuali e quasi sofferenti, come se
qualcosa aleggiasse fra loro, la sensazione forse che questa sarà
l'ultimo incontro. Mentre il loro amplesso si esaurisce i fiati danno
fondo alle ultime energie in accordi stridenti e dolenti (“Doppio
Nativo, Mezzo Nogarole”).
Sono ancora entrambi a letto. Lui
guarda il soffitto, le mani appoggiate dietro la nuca, lei fuma
languida una sigaretta, sempre elegante anche in quei semplici
movimenti. Mentre il basso comincia a sciorinare le sue note
incalzanti lui inizia a parlare, non la guarda direttamente ma le
parole sono rivolte a lei, lo si vede da come smette improvvisamente
di fumare: inizia distaccato ma la sua faccia non riesce a rimanere
inespressiva, è un fiume di dolore che si placa solo quando smette
di parla...e solo allora si volta verso di lei, sconvolta. Si
ricompone, gli strumenti le danno il tempo necessario per farlo e
all'improvviso emette una risata: il suo sguardo ora ha una certa
ferocia e l'assolo di chitarra evidenzia le sue parole che sono
coltellate sarcastiche. Spiega all'uomo, in un incedere sempre più
incalzante, il suo ruolo in tutta la vicenda, i buchi mancanti della
storia, il modo in cui lo ha usato per arrivare i suoi scopi senza
che lui sospettasse niente. Ora è lui ad essere sgomento, ma la
sensualità di quella figura femminile prorompe ancora: lei si fa
languida, chitarre e batteria dettano un ritmo da danza mentre lei si
destreggia nel cercare di portare l'uomo dalla sua parte...perchè
farsi la guerra quando possono avere tutto? Ma il basso, con accordi
distorti che non lasciano presagire niente di buono, accompagna la
telecamera verso la mano dell'uomo prima nascosta alla nostra
vista...che cosa farà con la pistola che ora stringe in pugno?
(“Napqueen”)
Capito qualcosa? Non era comunque
facile descrivere la musica dei Vonneumann...dire che fanno un
incrocio fra math rock e jazz vi sarebbe più utile? Che le strutture
sono assolutamente fuori da ogni logica a cui siete abituati,
lasciando comunque l'impressione che uno schema c'è e non poteva che
essere quello? Non posso darvi tutte le informazioni, forse neanche
loro possono: ascoltatelo e createvi la vostra storia in musica, come
ho fatto io.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Retroazione
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