Bando alle ciance, per una volta
eviterò lunghe e prolisse prosopopee e andrò velocemente a spiegare
perchè i Valerian Swing, col loro terzo album Aurora, hanno tirato
fuori uno dei migliori dischi dell'anno.
Math rock perlopiù strumentale, è
questa la base da cui il trio di Correggio parte per creare in otto
pezzi un miscuglio sonoro che sfocia anche in altri ambiti: già
l'iniziale “3 Juno” palesa nell'incipit atmosfere post rock di
una potenza paragonabile ai Russian Circles, per poi evocare
chitarristicamente e vocalmente parentele con la scena emocore
nostrana. Un caso che Matt Bayles, già dietro alla band di Chicago e
produttore del precedente album dei Valerian Swing A Sailor Lost
Around The Earth, sia alla produzione anche in questo caso? O che due
dei concittadini Gazebo Penguins siano coinvolti nell'album (Sollo
nella produzione e nelle tastiere [non nel senso che ci si è
infilato dentro eh] e Capra nelle urla presenti in “Scilla”)? Io
dico sì, perchè la coesione sonora che la band sfodera dal primo
all'ultimo minuto dà l'idea di una capacità di maneggiare il pout
pourri di influenze assolutamente spontanea, come se i tre avessero
mangiato tutti questi generi a colazione per anni e gli venisse
naturale mischiarli per creare tutto questo ben di dio.
Prendete il binomio, prevedibile
solo nei titoli, “Scilla” e “Cariddi”: tanto devastante nella
sua partenza a mille la prima quanto capace di assestarsi su ritmi
più monolitici la seconda, salvo poi riprendere la corsa in un
finale che sa tanto di percorso circolare. La tromba che si insinua
fra le ultime note (e che appare timidamente anche nel finale di
“Cancer Minor”) serve solo a dare un tocco di particolarità in
più, prima che l'apparente calma venutasi a creare venga squassata
dallo splendente ed indiavolato inizio di “In Vacuum”, una
creatura sonora che muta ritmo e tempo innumerevoli volte già solo
nel primo minuto di durata e senza che questo sembri un vuoto
esercizio di stile.
Incredibile la capacità con cui
Steve alla chitarra tiri fuori riff che entrano in testa dal primo
ascolto: quello con cui si apre “Spazio” ad esempio, evoluto
nell'arco di una canzone che alterna con naturalezza accelerazioni
violente e momentanee pause oscure come quella che verso la fine, pur
brevemente, eleva a protagonisti assoluti il basso cavernoso e lo
sporco lavoro della tastiera in sottofondo. “Parsec” subito dopo
dà una buona idea nel suo continuo sviluppo di come le influenze
emocore si possono ben amalgamare a momenti di sfogo granitico, ed il
suo finale sfumato ben si sposa alla sacralità che la tastiera dà
all'inizio della conclusiva “Calar Alto”. Se proprio vogliamo
trovare qualche difetto diciamo che questo inizio si lega un po'
forzatamente con l'entrata degli altri strumenti, ma fa gioco ad un
brano che rimarca ed avvalora le influenze post rock della band, ben
delineate dall'andamento rilassato ed intimista della lunga parte
centrale e che fa da splendido veicolo ad un finale in cui torna a
splendere il sole fra le distorsioni. Vogliamo trovare un altro
difetto? Il modo in cui “Cancer Minor”, forse il brano più cupo
dell'album, dia l'impressione di finire troppo sbrigativamente...come
se la faccenda musicale non fosse stata pienamente risolta nonostante
l'azzeccata idea di iniziare e finire il brano con una tastiera che
porta la mente verso gli spazi siderali.
Avrei potuto usare anche meno
parole per esprimere la mia opinione su un album che va ascoltato più
che descritto: sul loro bandcamp lo trovate in download gratuito (una
buona abitudine della zona, almeno per quel che riguarda la musica
indipendente...a quando un album gratis di Ligabue? Chi lo vuole alzi
la mano, io le ho già messe in tasca), quindi spero di avervi creato
quel tanto che basta di curiosità per andarvelo a scaricare e
lasciar parlare gli strumenti al posto mio.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: To Lose La Track/ Magic Bullet Records / Subsuburban / Cavity Records / Small Pond
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