Mi innamorai delle Warpaint
vedendole di supporto ai Dinosaur Jr
qualche anno fa al Magnolia di Milano. “Bella forza”, direte voi, “son delle
gran fighe”, ma ci tengo a puntualizzare che A) quella veramente figa è la
bassista, che conferma anche il legame fra topaggine e strumento a quattro
corde B) fu la situazione ad emozionarmi e non le caratteristiche estetiche
della band: tramonto, una musica suonata ma che sembrava chillout, il fatto che fossi entrato gratis (ah, quando ancora fare
lo scribacchino via web portava ad avere biglietti gratis per i concerti…).
Insomma mi recuperai il primo lavoro della band, The Fool, e me lo ascoltai
anche quando andavo a correre, che non è proprio il massimo per darti la carica
ma con quelle voci da gatte morte un po’ di testosterone ti veniva da
sprigionarlo. Di acqua da allora ne è passata sotto i ponti, e dopo l’omonimo
seguito ecco arrivare Heads Up, fresco fresco di stampa e pronto a suscitare le
stesse emozioni. O no?
E’ un discorso fondamentalmente
di pancia quello che, ad oggi, mi fa ancora preferire l’esordio della band agli
album seguenti: The Fool infatti sapeva scaldare, mentre sono troppi i brani di
Heads Up che sembrano freddi ed esageratamente digitalizzati. La musica delle
Warpaint non ha mai lesinato sull’elettronica, ma l’esagerazione di trigger
sulla batteria rende pezzi come By Your
Side e Don’t Wanna noiosi e privi
di dinamica, complice anche un cantato monocorde che, pur valendosi della
solita intersecazione di voci (che le figliole cantano tutte), non riesce ad
esprimere emozioni. Non va meglio quando si decide di esagerare il lato
sintetico (o synthetico, battutona del 2016), visto che Dre si trascina stancamente e senza picchi per quasi tutta la
durata. La fantasia della band sembra essersi insomma persa fra delay e riverberi, pensando basti questo a portare avanti un discorso
musicale sicuramente personale ma che rischia di sfociare nell’autoreferenziale.
Tutto da buttare insomma? Ammetto
di esserci andato pesante, ma a conti fatti Heads Up non è, ripeto NON E’ un
brutto album. Non lo salva l’ammiccante New
Song, sorta di canzone pop con cassa dritta che rappresenta il momento sicuramente
più fuori dai soliti schemi ma dà l’impressione di essere un malriuscito
tentativo di ritagliarsi un air play radiofonico maggiore, bensì canzoni come The Stall, dove Emily Kokal tira fuori
una linea vocale più varia ed intensa ed il ritmo si fa coinvolgente, la
sperimentale Don’t Let Go, che inizia
con ambizioni quasi folkeggianti e si anima man mano per sfociare in un finale
quasi lisergico, Above Control, che
pur rimanendo sempre uguale a sé stessa nei suoi cinque minuti di durata riesce
a trasmettere tanta energia. Anche il finale quasi esclusivamente chitarra-voce
di Today Dear si fa apprezzare,
rievocando malinconicamente atmosfere comunque già esplorate in passato (vedi Baby dal primo disco).
Non mi sento di bocciare totalmente
Heads Up, ma se posso essermi sbagliato ad aver dato poche chance, dopo i primi
ascolti, al precedente Warpaint non mi sento in errore a giudicare questo nuovo
disco un passo indietro. Le canzoni buone ci sono, ma abbondano pure i momenti
assolutamente dimenticabili, e sebbene The Fool non si possa certo definire l’album
definitivo le emozioni che suscita sono molto più variegate di quelle asettiche
che scaturiscono dal nuovo lavoro.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Rough Trade Records
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