sabato 10 ottobre 2015

Bachi da Pietra – Necroide (Recensione)

“Difendi il nome del rock ‘n’ roll”. Come prendere sul serio questa esortazione, uscita direttamente dall’eccellente penna di Giovanni Succi, e non pensare invece a un’efficace parodia degli stereotipi veterometallari e dell’hard rock d’annata? Armati fino ai denti del consueto arsenale tecnico, i Bachi da Pietra scendono minacciosi sul campo della nostalgia metal, sicuramente meglio equipaggiati de Gli Atroci, pionieri del genere in terra italica; ma se da un lato la solidità di mezzi del duo sia innegabilmente superiore, dall’altro le intenzioni ironiche e dissacranti della band demenziale erano evidenti e conducevano a un godibile sberleffo dell’immaginario machista, eccessivo e goffo di una parte del metal: ascoltando Necroide, rimane invece per me incomprensibile se i timpani si trovino a far fronte a una genuina quanto ingenua operazione di recupero di un’estetica e di sonorità amate in età giovanile da Succi e Dorella o se, invece, la mimesi degli stilemi del genere sia talmente fedele da svelare l’intento parodistico.
Se nell’incipit citato Black Metal il mio Folk Succi rivendica la valenza del metal quale forma di narrazione popolare, portatrice di significati almeno per chi l’ha avvicinato durante l’adolescenza, Slayer & The Family Stone cerca di concretizzare un’altra delle dichiarazioni programmatiche della band: come maniscalchi estemporanei, ricorrono al calore della black music per fondere il metallo in una materia pulsante. Dopo la dedica a Jeff Hanneman e alla sua malattia di Fascite Necroide, Tarli Mai ritorna nuovamente alle radici nere dell’Africa, ma portata in Europa da colonizzatori dell’età industriale; anche Voodooviking fa dell’esotismo non convenzionale il suo fulcro, riducendo nelle due strofe del testo un poema haitiano, rinvenuto in una politicamente scorretta Antologia di Poeti Negri, edita in Italia nel 1954. Il kitsch lontanissimo parente di Prince e dei suoi vezzi si affaccia attraverso le interferenze del vocoder impiegato in Apocalinsect, mentre in Virus del Male il debito nei confronti della tradizione heavy viene portato allo scoperto: in questa confessione dall’incedere rap, Succi chiama a raccolta tutti i numi tutelari della sua formazione musicale, con il riconoscibilissimo stile lapidario e paratattico, autentico puntello del suono. Dopo il growl di Feccia rozza e il doom di Cofani funebri, il duo infila anche una chitarra acustica nel cantautorato black metal di Sepolta Viva; il penultimo episodio, quanto di più simile a una ballad in questo disco, avrebbe rappresentato una conclusione da manuale, a suggello dell’epicità prepotente del disco: ma i Bachi si congedano invece con la deflagrazione, eco dei primi Motorhead, della furibonda Danza Macabra.

L’inversione di marcia è più simile a un ritorno alla casella di partenza, oltre l’autoironia trapela la passione originaria e autentica su cui si sono sedimentati gli ascolti successivi di Succi e Dorella; tuttavia, tra gli stereotipi ostentati e le intuizioni musicalmente felici, rimane indefinito il confine che separa la parodia dall’omaggio sincero.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: La Tempesta/Master Music/Tannen Records – Wallace/ Audioglobe

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