sabato 5 marzo 2011

The Tallest Man On Earth - Wild Hunt (recensione)

Ha ancora un senso incidere un disco completamente acustico in questa nostra epoca sintetica? Un disco dove una voce, tra l’altro non proprio aggraziata, snocciola parole su una base costituita da una chitarra acustica? In cui le 2 sole eccezioni sono le intrusioni di un banjo nella title-track e la sostituzione della chitarra con un pianoforte in quella posta in chiusura? La risposta è sì, altrimenti cosa ve lo presento a fare questo album… Scherzi a parte, dischi completamente acustici, possono risultare pesanti, ripetitivi e poco "digeribili". Non è il caso di THE WILD HUNT, seconda incisione sulla lunga distanza di THE TALLEST MAN ON EARTH, ironico pseudonimo dello svedese Kristian Matsson. Anche se molto simile al suo esordio di qualche anno fa, Shallow Grave, del quale sembra la continuazione, “l’uomo più alto della terra” in questi 35 minuti circa, ci porta nel suo mondo (minimale) e, a dispetto della scarsità strumentale, ci affascina con la “varietà” esecutiva delle sue canzoni. Dappertutto lo accostano a “His Bobness” prima della svolta elettrica, sia per lo stile che per la voce nasale, anche se quella di Kristian è, se possibile, ancor più arcigna e, personalmente, mi ricorda in varie inflessioni, anche quella di Dan Stuart, leader degli indimenticabili Green On Red. Un accostamento che farebbe tremare chiunque… E lui, spavaldo, ci propina Lion’s Heart, dylaniana fino al midollo, mentre in King Of Spain, “osa” citare apertamente, proprio il titolo di un brano tratto da “The Times They Are a-changing" (…and I wear my boots of Spanish leather). Ma, se ascoltate più attentamente, in questo disco non c’è solo Dylan, ma anche il Graham Parker acustico di Live Alone In America in Burden of Tomorrow, oppure Jorma Kaukonen all’epoca di Quah! in Love Is All e, perché no, lo stile/spirito pianistico di Springsteen nella conclusiva Kids On The Run. Insomma altri “mostri” niente male, eh? Proprio questi 3 brani, insieme all’iniziale title-track, sono i momenti migliori, con una menzione particolare proprio per Kids, quale vetta emotiva dell’intera opera e, la mia particolare speranza, è che nel prossimo disco Kristian si ricordi più spesso di saper suonare anche i tasti neri e bianchi… Non fatevi, però, fuorviare da tutti i rilevanti accostamenti ed etichettare questo “gigante” come un clone oppure una copia sbiadita di altri colleghi più famosi. Kristian ha una personalità assolutamente propria e la giusta sfrontatezza per potersi confrontare con loro. Se aggiungete, inoltre, che i testi sono interessanti ed il song-writing fluido e non affatto scontato, beh, capirete che non dovete dedicare un ascolto distratto e svogliato a questo bel progetto lo-fi. Potreste realizzare, per di più, che a guardare le cose della vita da così “in alto”, provoca vertigini e può farle vedere in modo più vero.

Label: Dead Oceans

Voto:◆◆◆◆◇



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