martedì 11 ottobre 2011

Spectrals – Bad Penny (Recensione)

Spectrals – Bad PennyLuis Jones – qui con i suoi Spectrals – potrebbe essere la risposta inglese, garbata e corretta come le arie di Miles Kane che sgambettano tutt’intorno, alle prosopopee american nerd di Daniel Johnston, e lo fa con “Bad penny” un disco micidialmente “svagato” nel senso d’inusuale per un giovane cantautore dall’aplomb brit, undici tracce che, in virtù di una libertà espressiva non guerrafondaia ma scatenata da un equilibrio di “par condicio patriottica”, arrivano ad infastidire il “contendente Usa” come non mai.

Voce aggraziata, suoni educandi ed una particolarità di timbro molto easy, Jones compone queste canzoni pensando all’amore per tante sguinze dell’età della scuola superiore, canzoni sospese tra “fumetti esistenziali” e sigarette fumate nervosamente nei bagni tra – magari – l’ora di religione e quella di latino, comunque sia un pugno di minuti piacevoli come stare dentro un club a rilassarsi con una Coca gelata tra le mani; pochissime strutturazioni effettistiche, due chitarre, una batteria mid-leggera picchiata amorevolmente dal fratello Will, e poco più se – vogliamo includerci - le apparizioni virtuali ispirative degli Style Council (ricordate Doing Time?) che si aggrovigliano un po’ ovunque, dipingono un disco perfetto da ascoltare chiusi nella stanza a doppia mandata e fare la TAC ai pensieri di gioventù idilliache che non vogliono uscire dalla mente.

Ovviamente un disco che potrebbe durare il tempo di un lampo, lasciare circospetto la volumetria d’azione anche dopo un ascolto di una giornata, ma anche che – volendo – rimanga momentaneamente appiccicato nelle pareti di quella stanza a fare poster di testardaggine per un organico malore d’amore last-minute, allora in questo caso Jones non può farci niente, comincerà a distribuire nell’aria il pop striato di jazz di “Get a grip”, l’inno per una probabile filodiffusione da discount “You don’t have to tell me”, lo slow infrangibile che fa movenze in “Many happy return”, la voglia di giocare ad essere Paul Weller davanti allo specchio con “Doing time” e “Confetti” oppure evaporare lentamente nelle nebbie brit di “If I think about the magic will it go away?”, tutto è possibile il giorno d’oggi.

Per il momento Jones e gli Spectrals rimangono così cosi, a cavallo di una normale mezza soddisfazione critica, e poi anche perché non si riesce ancora a capire cosa possa temere l’americano Signor Johnston da questo “collega” inglese. Aspettiamo tempi migliori prima di licenziare giudizi affrettati e come disse qualcuno….soprassediamo!

Voto: ◆◆◆
Label: Wichita/Slumberland 2011


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