Il mondo, la cosmogonica inversa in cui è incapsulato il cantautore catanese Mapuche, è patrimonio di un “esistenziale” a parte, è il più storto, squinternato modo di ragionare suonato e cantato per urlare concetti, poesia da cantina e soprattutto verità sana e dritta che si possa ascoltare da qui ad un altro pianeta dell’orbita fool; “L’uomo nudo” è il nuovo capitolo di questa bella saga cantautorale, è anarchia lirica e improbabile “wall of sound” ultra casareccio, sempre in bilico tra la sbornia devota dell’in vino veritas e le lune traversali dei poeti da speack-corners delle anime urbane.
Ballate con un dio peccaminoso comanda, parole che arrivano come uno schizzo dello spirito del tempo, mucchi d’ironia ed una vena comica post-atomica sono le strutture portanti, i sesti acuti di queste undici tracce, undici piccole gocce di piacere amarognolo che fanno un disco godibilissimo, con quegli accordini pungenti, ritmi minimali, tastierine infantili, Rino Gaetano “Io a scuola non ti accompagno più”, e Darwin Deez che vanno a bere un goccetto con Adam Green e Devendra Benhardt e che una volta assemblati in un’ipotetica playlist per giornate da stralunare, riempiono l’orecchio dell’ascoltatore d’un benessere inconsueto, naif.
Piccole e grandi cose in questo piccolo lavoro discografico, un nuovo tassello di quel puzzle infinito che è poi il cantautorato dell’anno zero, di quella schiera di raccontatori dal basso che arrivano a beatificare il nostro silenzio, arrivano a battere cassa quattro con storie, sogni , allunaggi, musiche e altri mille cazzi suonanti con dovizia o come viene viene e soprattutto per darci ottimi spunti per andare avanti nella conta dei giorni; Enrico “Mapuche” Lanza è un’artista all’opposto della cultura geek tanto in voga, con una chitarra acustica spenna e spizzica accordi e malumori, li mette in fila e li sputa nelle forme spoken folk “Il dromedario”, “Quando ero morto”, li spalma nelle desolazioni intime “Malvolentieri”, “L’uomo nudo”, per arrivare ad un’escursione nei genitali femminili come prosa astratta (poi non tanto) da scandagliare profondamente “Io non ho il clitoride”.
A roteare in quest’acido legalizzato formato disco oltre i musicisti di stretta Lorenzo Urciullo e Toti Valente, qua e la nascosti nei pezzi troviamo Peppe Sindona, Carlo Barbagallo, Mario Filetti, Cesare Basile e Dario D’Urso, un bel circus di note e sintomi che fanno piacere moltiplicato, e che conduce Mapuche ed il suo folk stropicciato e picaresco – specie in questo momento storico – ad essere un’inattesa e straordinaria forza regressa in avanti tanto da sembrare avanguardistica, pionieristica al contrario e bella, bella davvero.
Una cosa, ma che fine ha poi fatto quel benedetto subbuteo??
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Viceversa Records
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