martedì 13 novembre 2012

Flyzone - Hard Day's Morning (Recensione)

Il rock'n'roll è un'erbaccia cattiva che non muore mai. 
Per quanto si tenti di estirparne la sua essenzialità originaria, infiocchettandolo di prefissi dal dubbio significato (a mio parere una semplice presa di coscienza del fatto che siamo nel 2012), ogni tanto, inaspettatamente, sbuca fuori di nuovo. Tipo i Flyzone, con la loro Hard Day's Morning

Con coraggio e una buona dose di faccia tosta, questi quattro ragazzi romani ci ripropongono un rock dal sapore America dei primi anni zero (Foo Fighters, per intenderci): ritornelli aperti, ballads strappalacrime (con assolo di chitarra interminabile, come di rito) e quel riff massiccio e già sentito ma che, cazzo!, non puoi ascoltarlo e stare fermo. Nonostante si muova su frequenze piuttosto ordinarie e già passate in radio centinaia di volte, Hard Day's Morning è un album di belle canzoni che non si lasciano schiacciare dal peso del passato. L'ispirazione è forte e (a volte) fin troppo presente, ma abbastanza matura da non tramutarsi in banale imitazione: quando il rischio è quello di sembrare quindicenni che, cambiando gli accordi del loro pezzo preferito credono di aver scritto la canzone del secolo, i Flyzone fanno un salto più lungo della gamba e (fortunatamente) ricadono in piedi e senza evidenti ammaccature. Il vocalist, Giovanni Iurisci, si diverte a fare il piccolo Dave Grohl con tanto di chewing-gum e capelli lunghi,  col suo inglese ammiccante seppur non del tutto credibile. E badate, la mia non è una critica: rimanendo nell'ottica di una musica che si ispiri senza imitare, trovo che l'accento vagamente italiano dia un tocco molto particolare a canzoni come Katrina, in cui le parole sono un fiume in piena che si allinea magicamente in una cadenza da far invidia a Serj Tankian. Dopo la già citata, le migliori prove dell'album sono senza dubbio Black blood e In my opinion. Il ritmo è veloce, con le strofe che lasciano senza fiato e i ritornelli dimezzati che si spalancano, secondo i canoni tipici del genere. La chitarra di Danilo Garcia di Meo è molto presente, rapida e tesa, quasi a voler scandire il tempo meglio della batteria, mentre il basso di Gerry Italia è ben più timido, concedendosi solo poche brevi apparizioni sopra le righe, come in In my opinion. Chiude l'album la ballata A Clockwork Orange. In pezzi come questo, dal carattere fortemente introspettivo e ascustico, il rischio di cadere nella banalità è piuttosto alto, ma i quattro superano brillantemente anche questa prova. Il giro di accordi è romantico e sinistro, la voce si addolcisce senza perdere il suo mordente e l'intervento della batteria ne completa la frammentaria perfezione. I Flyzone sono un gruppo che suona quel che gli piace senza ricorrere a brutti copia-incolla temporali: punta all'essenziale, lo rende bello e ce lo offre sotto forma di un rock viscerale e fintamente grezzo. Seppur probabilmente non siano e non saranno la novità dell'anno, diciamoci la verità, a chi dispiace un po' di sano rock'n'roll?

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Autoproduzione

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