Le ultime notizie che avevo dei Lento li vedevano ancora parte integrante del rooster della Supernaturalcat, per la quale avevano esordito con Earthen e dato alla luce un piccolo capolavoro sonoro assieme agli Ufomammut, un disco suonato assieme da entrambe le band ben lontano dall'essere un semplice split. Sono rimasto decisamente indietro, tanto che questo Anxiety Despair Language è già il secondo disco (in 2 anni) ad uscire per l'etichetta francese Denovali, e mostra una formazione che non ha certo perso l'ispirazione.
La musica dei Lento è
viscerale, violenta, ma capace di portare anche in alto con
improvvisi momenti aulici in cui a dar man forte ai 4 componenti
della band arriva anche il synth di Paolo Tornitore, fondamentale per
valorizzare momenti quasi epici. L'ipertecnica mostrata nei 13 brani
di questo album non è quasi mai fine a sé stessa, anche se a volte
complicare troppo le cose toglie comunque un po' di mordente alle
situazioni musicali, e come esempio assoluto di come la tecnica venga
usata verso un fine migliore che l'onanismo possiamo prendere
sicuramente “Death Must Be The Place” (citazione cupa del film di
Sorrentino?), dove la chitarra si erge a protagonista assoluta come
fosse la voce che manca, si zittisce assieme agli altri strumenti per
lasciare breve spazio ad una pausa pianistica struggente interrotta
per lasciare spazio ad un finale poderoso nella sua coesione. Non è
certo l'unico esempio che si potrebbe fare, visto quanto fanno ad
esempio anche la title track , maestosa nel suo incedere epico
scandito ancora una volta dalla chitarra e quasi malevola quando
rallenta e si fa cupa, o la seguente e mutevole “The Roof”, ben
conclusa da un finale arioso che sembra portarci verso l'alto...forse
non verso il paradiso, ma più in alto dell'inferno sonoro scatenato
dai quattro strumenti dei Lento. C'è spazio anche per qualche
esperimento azzeccato, come la minimale e quasi jazz “Blackness”,
o meno, come la sperimentale deriva noise di “Inwards Disclosure”
che rimane troppo fine a sé stessa, ma è anche questo il bello di
Anxiety Despair Languages: vedere che la voglia di andare un po' più
in là c'è sempre, di non limitarsi a picchiare in maniera granitica
fra continui cambi di situazioni come già gli esce bene visto che
pezzi come “Underbelly” sono lì a dimostrarlo.
Sono abbastanza digiuno
di metal, ma il valore di questo terzo album dei capitolini Lento lo
si può intuire anche andando al di là dei gusti personali. Certo
non li consiglierei a chi ascolta Justin Bieber, ma visto che i fan
del ragazzotto non frequentano queste pagine penso che la maggior
parte di chi sta leggendo queste righe un salto ad ascoltare qualcosa
di loro dovrebbe farlo...scoprite qualcosa di nuovo ogni tanto dai,
aprite i vostri orizzonti!
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Denovali
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