Più che chiamarlo il progetto parallelo di Christian Wago dei Fleet Foxes, preferirei chiamare il disco omonimo dei Poor Moon uno sguardo in tralice verso un tramonto di ieri che non accenna a diminuire la sua loquacità ed i suoi bagliori psichedelici, un punto di vista ondulante tra il beat e il folk di certi anni Sessanta che ritorna con la sua spiritualità alternativa ma senza le chiassose parentesi sperimentali né tantomeno avanguardistiche.
Delicatezze, sovraincisioni, bucolico e folkly a go-go sono i colori tematici di queste dieci tracce che prendono in prestito dalle nebulose di certi Hollies, Simon & Garfunkel e abbronzatissimi Beach Boys le titubanze e le prodigiosità per poter raccontare sogni e illusioni generazionali, ma il tutto condito da una personalissima metafisica che mette queste tracce a mezz’aria, tra l’ascolto e un parcheggio sicuro per stati di calma interiore; Wago e soci s’intrattengono felicemente su complementi e atmosfere rarefatte, costruiscono tele di svolazzi e teneri sghiribizzi impalpabili, evocativi che convincono – magari con più di un giro di stereo – fino a scomodare la voglia di repeat.
Un listening accomodante e familiare, pastorali e onde leggiadre di folk imbevono tutto, l’harpsichord tra nebbioline tattili “Phantom light”, “Same way”, le trasparenze campagnole “Bucky pony”, “Come home” per giungere alla corte pop di “Birds”, unica divagazione pseudo commerciale che però non fa testo se ascoltata preventivamente, mentre la conclusiva “Fortune” si divincola dal resto per approdare ed uscire - pare proprio - dalla mitologia discografica Simon-Garfunkeliana senza nessuna differenziazione dagli originali.
L’essenzialità di questo bel disco è nella sua pratica assenza di peso, quel temperamento ad alleggerire i fastidi d’ogni giorno, uno di quei dischi che quando ti metti ad ascoltarli smetti di fare altro e vieni rapito dalle atmosfere che rilasciano.
Si raccomanda l’ascolto ad occhi chiusi e cuore aperto grazie.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Bella Union
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