giovedì 11 aprile 2013

Pellicans – Dancing boy (Recensione)

In epoca di revival, di posture di riporto e ricerca di valori andati, migliaia sono le produzioni che si rincorrono pur di mostrare muscoli e venosità tali da provare ad esercitare il fascino o l’imprinting idoneo per fare proseliti o nuove conquiste tra oramai smaliziati “ascoltatori di tutto”, ma c’è chi ci prova e rimane al palo chi invece - pur risucchiando anche il midollo – riesce a catturare l’attenzione e farsi tenere a conto.

I Pellicans, qui in uscita con il nuovo album “Dancing Boy” per la Lady Lovely di Ru Catania (ex chitarrista dei Africa Unite), suonando le vibration di un “bluebeat” che negli anni Settanta/Ottanta ha colorato l’Inghilterra a tutti i livelli, in tutti gli angoli, non suonano le stesse cose a cui siamo magari abituati sentire da band di settore o quanto meno di scuola, ma si immergono nel sound che – come a scoprirne dettagli descrittivi – tiene a salvaguardarne le derivazioni, le mosse e tutte quelle alternative che un grande sound si possa permettere; undici tracce per un pugno di minuti che non solo fanno dondolare con goduria, ma anche un messaggio reale contro l’omofobia dilagante, cosa che il reggae ortodosso invece fomenta e diffonde, un “Queer Reggae” che i Pellicans suonano mischiandolo di dance, Rnb, dub e quei tocchi pop che danno respiro umano e radiofonico come una riserva di libertà.

Dicevamo undici tracce che tra roots e nuove contaminazioni fanno ballare e pensare fitto, un dancefloor continuativo che sembra venire da quei 45 giri da juke-box di una gioventù lontana ma mai cosi vicina all’effervescenza egocentrica beata che questi brani fissano nel cuore, un disco ispirato e che va a segno dopo solo un giro di stereo; ma anche un disco dove panegirici di parole o rischiosi accostamenti stonano a dismisura, uno di quei prodotti sonanti che hanno bisogno di aria e orecchi per decantare come quelle buone bottiglie di vino rosso appena stappate che vogliono il loro corto tempo per essere “divorate”. Lasciatevi irretire dalla grazia in levare di “Vampire”, caracollare estasiati con “A last gaze of my dad”, fatevi abbindolare dal ciondolìo dub che ozia in “Short dub” o dal ritorno al passato di “Move on”, e capirete che l’arte dei Pellicans di essere dentro ma suonando “altro” è un segno inconfondibile, non dei tempi, ma della voglia di vivere e smuovere le cose ferme, terribilmente ferme.

Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Lady Lovely

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