Inossidabili i Mudhoney. Immuni dalle crisi che hanno attraversato gruppi con molti anni di meno sulle spalle (se si esclude l'uscita dalla band di Matt Lukin ormai dieci anni orsono) loro vanno avanti da un quarto di secolo imperterriti, sfornando album con una cadenza non certo regolare ma comunque senza pause troppo lunghe. Ed è proprio questo Vanishing Point quello che si è fatto attendere di più, uscendo dopo ben 5 anni dalla prova piuttosto scialba di The Lucky Ones, non il modo migliore per festeggiare il ventennio di attività.
Dopo così tanto tempo
dopotutto è difficile stupire, soprattutto se le armi con cui sei
emerso sono un suono aggressivo che nel frattempo ha smussato gli
angoli (soprattutto dopo il ritorno in Sub Pop con Since We'Ve Become
Translucents) ed un'energia che arrivati alla cinquantina non è
certo quella degli esordi (anche se dal vivo la loro porca figura la
fanno comunque). C'è quindi ancora spazio per le sfuriate quasi
punk, ne sia prova la scatenata “Chardonnay” con efficace assolo
dissonante compreso nel lotto, o per le punzecchiature fuzzate
efficaci solo a tratti di “I Don't Remember You”, ma
l'impressione è che la band si trovi più a suo agio quando i ritmi
rallentano. Non che ci propinino delle ballad, o perlomeno non è il
termine che userei per la tranquilla ma assolutamente coinvolgente
“Sing This Song Of Joy”, ma quando rallentano il ritmo scatenato
dell'iniziale “Slipping Away” per lasciar spazio ad una
proto-psichedelia fra riverberi e wah e quando si lasciano guidare da
un basso lineare ma trascinante nella scura “What To Do With The
Neutral”...beh, forse è qui che si sentono le cose migliori. Non
che una tirata che rinvanga i vecchi tempi (forse fin troppo) come
“The Only Son Of The Widow Of Nain” non faccia piacere, ma per un
pezzo riuscito nel suo amarcord come questo ce ne sono altri che
passano nelle orecchie senza lasciare troppo il segno: “The Final
Course”, a cui la carta psichedelica riesce decisamente meno
rispetto alla opening track, la successiva “In This Rubber Town”,
che scorre senza particolari tentennamenti ma di cui si fa apprezzare
il lavoro alla batteria di Dan Peters, e “I Like It Small”,
ripetitiva e scialba nonostante il tentativo di tenere alto un ritmo
che però fatica a coinvolgere. I Mudhoney comunque combattono questa
ennesima battaglia sonora con armi varie, e sebbene non tutto si può
dire riuscito riescono a dimostrarsi più in forma di 5 anni fa.
Vanishing Point non
cambierà la vita di nessuno, ma se il timore poteva essere quello di
vedere aggiungere alla più longeva formazione di Seattle un capitolo
evitabile alla propria carriera direi che il rischio è stato
evitato. Sfiga vuole che la loro unica data di promozione dell'album
sia nella per me lontana Firenze, ma se siete da quelle parti il 31
maggio i Mudhoney valgono ancora il prezzo del biglietto...e questo
disco pur coi suoi difetti aiuta a dimostrarlo.
Voto: ◆◆◆◇◇
Label: Sub Pop
Label: Sub Pop
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