Ossessivo e intrigante come da deliro incontrollato, indiavolato crocicchio che vede in stupenda collisione, botto e relativo cortocircuito i campani Maybe I’m e Bokassà, una folgorazione tribale di elementi sonici che provengono da suggestioni e “attriti” internazionali, una antologia anarco/espressiva che non ha in dote nessun limite, solo libertà, freedom e libertè al cubo.
“Paraponziponzipò” è il frutto calorico di questo incontro/fusione, e le scintille vanno immediatamente in profonda accelerazione schizofrenica, il caos ordinato di un sonic bang che satura all’inizio per poi diventare irrinunciabile decoro sonoro per attimi di sfogo dall’ostinato perbenismo di una giornata modularmente sempliciotta; il motore incontrastato delle sei tracce in scaletta? un micidiale acido basico di afro-punk-jazz che scorrazza delinquentemente in ogni angolo, schizzi sonori calibrati sul giro fisso dello stupore, una necessità espressiva psicotropa e sfrontata che delizia – nel suo folle esperimento – i nostri padiglioni auricolari. Sun Ra, pizzichi di McCoy Tyner, Napoli Centrale, soffi Bantù, le overdosi di Basquiat, geometrie Zappiane, tribalità e legni etnici, percussioni nere, fiati e tanto altro che si potrebbe stilare una enciclopedia alternativa, sono le colorazioni piriche di un disco che nella sua apparente confusione, pare avere e ha una logica trasversale, la battuta e il taglio unico, inafferrabile e il vizio formidabile delle “directions in music”. Bokassà , Alexander De Large voce/batteria/percussioni, Stefano Spataro voci/chitarra, Superfreak basso, tromba, baglams, i Maybe I’m, Antonio Marino voci, batteria, Ferdinando Farro voci, chitarra, sono le menti ansiolitiche di questo supergruppo arrivato per destabilizzare la staticità e stravolgere i paesaggi morti della presunta modernità nella musica.
Uno strepitoso scambio di “battute” che la sanno lunga, Africa e l’incedere della nevrosi urbana si complimentano, si accoppiano e partoriscono entrambe stimoli, scatti, sguardi profondi e traiettorie evolutive, uno sconvolgente pastrokkio sonoro che brilla di luce propria, selvaggio e “forestico” come le cinematiche di Tarantino, i fragori funk mediterranei “Nel continente nero”, il blues murder del Mali, nero come la pece “Ci sta un popolo di negri” per arrivare a certe distrazioni asimmetriche e scordate, un free customer che ha già dato panacea ad un certo Beck durante le sue invasioni in territori jazzly, “Il più famoso è l’Hully Gully”, una manciata di minuti d’istrionismo acuto, sensibilmente acuto.
Il resto della registrazione è da scoprire, un viaggio e un’apertura mentale che non si cancella facilmente, un woodoo metafisico e oltre contemporaneo specie per chi fosse esclusivamente alla ricerca di uno sballo – oltre che legale – dalle forti emozioni senza legacci di sorta.
Voto: ◆◆◆◆◇
Label: Jestrai/Lepers Prodt./Hysm?/La Fine/Eclectic Polpo/SGR Musiche/Charity Press
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