venerdì 14 giugno 2013

Zolle - S/t (Recensione)

Senza sapere un cazzo di questi Zolle, se non che erano prodotti dalla benemerita Supernatural Cat, ho subito sentito puzza di Morkobot. Il mio olfatto solitamente inesistente stavolta non mi ha tradito, visto che Lan (Marcello quando non è sotto il controllo di entità aliene) è una buona metà di questo tellurico duo, formato per l'altra metà da Stefano alla batteria ed allo xilofono. Se vogliamo la prima impressione, già dall'ottimo apripista “Trakthor”, è quella di trovarsi di fronte ad una versione più compressa dei Morkobot, con pezzi più brevi e concisi, “semplici” oseremmo dire se non fosse una parola troppo esagerata da usare in qualsiasi progetto che esce dall'etichetta targata Malleus. E' c'è la chitarra nelle mani di Lan, una chitarra pesante quasi quanto un basso nelle sue mani di cemento.

D'altronde se solo la traccia finale “Moongitruce” (i titoli sono sicuramente uno dei punti di forza del disco se vi piace un certo livello di demenzialità) supera, e abbondantemente, i 3 minuti si capisce che qualcosa di diverso c'è. E ad ascoltare alcuni pezzi, come la fin troppo coesa “Leequame”, viene il dubbio che in così poco tempo i due fabbri ferrai non possano riuscire a sprigionare idee abbastanza interessanti per reggere un album di 10 pezzi, che il tutto possa risolversi in un'apoteosi crescente di frequenze basse dall'aspetto simile. Il primo ascolto da questo punto di vista è quasi una conferma, ma basta addentrarsi un po' più profondamente nel mondo agricolo degli Zolle per capire che in realtà basterebbero gli arzigogolii (esisterà come parola?) chitarristici di “Forko”, la corsa sfrenata di “Weetellah”, i deliri slide di “Trynchatowak” e l'appeal psichedelico, particolarmente nel finale, della già citata “Moongitruce” per promuovere a pieni voti questo debutto. Se poi a dare una mano arrivano qua e là i synth di Urlo (Ufomammut) e Roberto Rizzo (Quasiviri/Runi) il quadretto si fa ancora più interessante, anche se non privo di momenti privi di uno spessore che vada al di là del doom-groove fine a se stesso come in “Heavy Letam”: non il più condannabile dei peccati, ma qualcosa da migliorare per il futuro.

Un'armata letale di due persone, pronta a falcidiare le vostre orecchie ed i campi di tutta italia con un aratro di doom conciso e cattivo. Ostico all'inizio, forse stancante alla lunga, ma sicuramente un disco che vi terrà incollati per mezz'oretta scarsa allo stereo in quel periodo di mezzo che, personalmente, durerà molto a lungo.

Voto: ◆◆◆
Label: Supernatural Cat


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